Prime indagini a La Roccaccia di Selvena (Castell’Azzara – GR), «Archeologia Medievale», XXVI. (FRANCOVICH, R)



FRANCOVICH, R. et alii, Prime indagini a La Roccaccia di Selvena (Castell’Azzara – GR), «Archeologia Medievale», XXVI.

 

PREMESSA*

Riccardo Francovich

Il programma di indagine su Selvena nasce in primo luogo dall'esigenza di capire quale fu la storia dell'incastellamento in area amiatina e quali le sue conseguenze sul popolamento e sui modi di esercizio del potere.

La notevole messe documentaria rappresentata dall'antico archivio di S. Salvatore al Monte Amiata e la monumentalità di numerosi castelli della zona hanno attratto da qualche decennio l'attenzione di storici, archeologi, storici dell'architettura, ciascuno interessato a studiare il fenomeno castrense.

Gli studi di Kurze, Redon, Wickham - solo per fare alcuni esempi, condotti essenzialmente sulle fonti scritte, hanno portato a delineare una geografia del popolamento e del potere sull'Amiata tra VIII e XIV secolo, ricostruendo con acume l'assetto altomedievale per curtes e casalia, la nascita di borghi lungo le principali strade, le diverse fasi dell'incastellamento e dell'accentramento insediativo.

Intanto nel territorio comunale di Abbadia San Salvatore si andava compiendo un'indagine di archeologia dei paesaggi condotta attraverso ricognizioni e saggi di scavo da cui sono scaturiti nuovi dati e modelli interpretativi, solo in parte assimilabili a quelli provenienti dalle fonti scritte1.

In questa prospettiva le conoscenze che verranno dal progetto Selvena dovrebbero apportare ulteriori elementi di riflessione e discussione.

Ma questo territorio, e il castello di Selvena in particolare, offrono anche altri spunti di ricerca. La presenza di cospicui giacimenti minerari consente di studiare la nascita e lo sviluppo di un paesaggio a vocazione specialistica e valutare in che misura questo incide sulla dinamica del popolamento nell'area circostante. Inoltre sarà estremamente interessante capire quale ruolo tali risorse hanno giocato nelle diverse epoche. I giacimenti di mercurio, fra i più vasti d'Europa, ma anche di zolfo, rame e vetriolo rendevano questi territori, dove peraltro erano disponibili vasti boschi e risorse idriche in quantità, estremamente appetibili per l'impianto di attività produttive.

L'indagine sul territorio mediante ricognizione di superficie, si inserisce dunque a pieno titolo nel progetto di ricerca come momento di cerniere fra il sito e il territorio circostante.

 

 

PRIMI DATI DI SCAVO.

Carlo Citter

Gli scavi hanno dato come primo risultato la constatazione di una fase di vita databile alla prima età moderna. All'interno della torre ovest, del vano di transito e dell'ambiente adiacente alla torre est, sono stati rinvenuti strati della piena età moderna riferibili rispettivamente ad un butto e a due battuti. Pertanto, se da un lato questa porzione dell'area signorile presenta cronologie molto ampie, dall'altro era inevitabile che un così lungo periodo di frequentazione andasse a scapito della conservazione dei depositi delle fasi più antiche. Non sono stati infatti rinvenuti strati di vissuto riferibili ai due grandi momenti costruttivi romanico e basso medievale. Tuttavia lo scavo ha messo in luce pavimentazioni e strutture in elevato di considerevoli dimensioni. La torre quadrangolare est era infatti invisibile prima degli interventi di scavo, e così anche l'ambiente attiguo.

Nel tentativo di presentare i dati emersi in una forma organica, compatibilmente con lo stato delle ricerche, presentiamo di seguito una tabella che mette in relazione le evidenze di scavo con quelle degli elevati. Una tabella sinottica che includa anche le fonti d’archivio è al momento prematura.

 

ANALISI DEGLI ELEVATI

DATI DI SCAVO

A (XI - p.m. XII): primo recinto con 2 torri

A (XI - p.m. XII): primo recinto con 2 torri. Buche di palo?

B (metà XII- p.m. XIII): edificio presso torre ovest e parte della cinta muraria della rocca

B (metà XII - p.m. XIII): fronti di cava per i cantieri

C (metà XIII): torre pentagonale

C (nel corso del XIII): costruzione ambienti fra palazzo e torre est, restauri torre ovest

D (fine XIII - p.m. XIV): costruzione palazzo e ampliamento cinta muraria

D (fine XIII - p.m. XIV): costruzione palazzo e piazza antistante, ristrutturazioni ambienti fra palazzo e torre est

E (fine XIV - p.m. XV): restauri cinta e palazzo

E

F (XVII): divisioni interne al palazzo, cisterna presso torre est

F (XVII): butto torre ovest, restauri torre est e ambienti fra questa e il palazzo. Crolli finali.

 

G (XVIII - XX): frequentazioni.

 

 

Periodo A (XI - p.m. XII).

A questo primo periodo possiamo ascrivere le due torri quadrangolari ed un probabile recinto che le univa di cui non rimane traccia ad eccezione dello spessore consistente dei muri perimetrali del palazzo che si potrebbe spiegare con l'insistere su un precedente circuito murario. La costruzione di questo primo castello evidenzia marcati connotati militari, realizzato come era su uno sperone di roccia all'interno del promontorio. Tutta la zona compresa fra le due torri risulta infatti più rilevata rispetto al pianoro sommitale dove è stata poi realizzata la grande area signorile. La torre est doveva avere un elevato considerevole a giudicare dalle bozze rinvenute nei crolli e quelle riutilizzate nelle fasi costruttive più recenti come il palazzo trecentesco e le diverse pedane.

Sotto il profilo dello scavo in senso stretto le attestazioni più antiche sull’area sono al momento due buche di palo intagliate direttamente sulla roccia di cui solo la seconda può essere datata ad un periodo precedente l’impianto del palazzo perché i fronti di cava in parte la tagliano. In termini di cronologia assoluta abbiamo solo un terminus ante quem al pieno XII, pertanto è preferibile usare una certa prudenza sulla collocazione di queste tracce. Pur se non possiamo escludere una datazione molto alta, al momento le collochiamo nella prima fase archeologicamente certa in relazione alla costruzione del primo castello.

 

Periodo B (metà XII - p.m. XIII).

In questo periodo sulla cui cronologia dobbiamo mantenerci ancora un po' larghi possiamo registrare la costruzione di un ambiente adiacente alla torre est, la realizzazione della cisterna e la ristrutturazione della torre ovest con rialzamenti in bozze più sottili e l'apertura di una porta.

L'ubicazione del vano attiguo alla torre est è interessante, perché sta all'interno del nucleo più antico e vi si può accedere solo entrando nel primo recinto. Contribuiscono a vedere in questo edificio un ambiente di pregio il pavimento in cocciopesto con un gradino in pietra a circa tre quarti della lunghezza che crea una piccola parte rilevata verso est e l'intonaco alle pareti che era per lo più bianco, sebbene alcuni pezzi mostrino strisce in rosso. L'importanza di questo ambiente è testimoniata da due ricostruzioni dei muri perimetrali, una forse trecentesca e l'altra certo di età moderna.

In base ai dati disponibili non possiamo al momento proporre una datazione sicura. Avanziamo tuttavia un'ipotesi tutta da verificare. Un'iscrizione oggi murata in facciata nella chiesa del paese di Selvena proviene, secondo una tradizione orale, dalla pieve del castello. E' invece possibile che si riferisca all'edificazione di una piccola chiesa da parte degli Aldobrandeschi. La data al 1238 non stona con la tecnica costruttiva della parte ancora visibile della facciata, che utilizza conci di pietra provenienti da un edificio romanico più antico riadattati per l'occasione. La conferma o la smentita di questa ipotesi verrà solo con la prosecuzione degli scavi, dal momento che è nota con certezza dalle fonti una chiesa sull'area della rocca.

La grande cisterna adiacente alla torre est potrebbe essere stata realizzata in questo periodo. Essa si adatta agli spazi disponibili e rispetta lo spessore del recinto del periodo A, ma rimpellando in facciavista il muro con bozze di reimpiego. Era provvista di piano di calpestio in cocciopesto in corrispondenza del pozzo da cui si doveva attingere l'acqua e di una gradinata di accesso realizzata con quattro gradini a quarto di cerchio addossati alla facciata della presunta piccola chiesa. La torre est potrebbe pertanto esere caduta in disuso in questo momento.

Dal momento in cui venne realizzata la cisterna, lo spazio fra questa e il palazzo diventò un'area di transito con battuti posti direttamente sul terreno vergine che presenta tracce evidenti di attività di cava, forse da porre in relazione con la costruzione del palazzo.

Periodo C (nel corso del XIII).

In via preliminare una prima pavimentazione a calce dell’area antistante il palazzo potrebbe essere stata realizzata in questo periodo, ma non possiamo escludere che sia invece da attribuire ancora alla fase B. I dati cronologici sono infatti costituiti dal terminus ante quem di uno strato di terra con maiolica arcaica che sigilla il più recente dei pavimenti.

Dalla porzione visibile sembra che il primo pavimento abbia un andamento in pendenza forse in parte dovuto all’andamento del paleosuolo su cui si imposta. In un momento successivo, ma forse non troppo distante nel tempo, venne rialzato il piano di calpestio mediante un altro pavimento dotato di un vespaio che poggiava direttamente sul precedente. Questo nuovo intervento subì un parziale restauro dopo che l’area era stata frequentata per un certo tempo come testimonia uno strato di vissuto ricco di ceramica, ossi animali, carboncini.

 

Periodo D (fine XIII - p.m. XIV).

La costruzione del grande palazzo fu l’occasione per una ridefinizione generale degli assetti urbanistici, pertanto anche l’area antistante venne ristrutturata rialzando i livelli di calpestio con strati di terra usati come base per un nuovo e più complesso pavimento in mattoni disposti a moduli (due fasce per taglio ai lati e motivo a spina di pesce all’interno). I dati cronologici orientano verso un’attribuzione al XIV secolo di questa operazione, dunque poco dopo la costruzione del palazzo. Al momento non sappiamo se la ripavimentazione a pietra di tutta la piazza che prosegue verso la torre pentagonale sia relativa a questa fase o posteriore.

 

Periodo F (XVII).

In età moderna la torre ovest perse la sua funzione difensiva, infatti venne utilizzata come butto. Forse nello stesso periodo venne realizzato un nuovo accesso alla torre est, spaccando la muratura e creando una scalinata ad una quota decisamente più bassa dell'accesso originale. Dobbiamo quindi pensare che era in uso il solo piano inferiore e che l'alzato non doveva essere più considerevole come in antico.

Davanti al palazzo, sul lato sud, venne costruita una pedana di accesso che abbracciava entrambe le porte, quella del palazzo e quella del vano di transito. Ristrutturazioni anche nella presunta piccola chiesa con la realizzazione di una volta in mattoni e un battuto di terra. In un momento successivo, ma sempre inquadrabile in età moderna, possiamo registrare la sistemazione della piazza di fronte al palazzo con un battuto che restaurava i cedimenti dei pavimenti in mattoni e in pietra. Una pedana per carri viene infine addossata alla porta del palazzo.

 

Periodo G (XVIII - XX).

In questo periodo, che cronologicamente si colloca fra il XVIII e il XX secolo, registriamo i crolli definitivi di parte degli elevati, che non vengono più ricostruiti a seguito dell'abbandono del castello.

 

 

Note

*: il progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena sotto la direzione scientifica dello scrivente vede il coordinamento degli scavi e delle indagini sul territorio affidato a Carlo Citter. Collaborano al progetto: Roberto Farinelli per le indagini d’archivio, Giovanna Bianchi per lo studio degli elevati, Enrica Boldrini, Francesca Grassi e Arianna Luna per lo studio dei reperti, Floriano Cavanna, Silvia Damiani, Mariachiara Goracci e Luca Serafini per la documentazione di scavo e della ricognizione sul territorio. Il sito è stato oggetto di restauri conservativi a cura della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici per le province di Siena e Grosseto (resp. Arch. Nicoletta Maioli). La presenza di tecnici per la ricognizione sul territorio e la documentazione di scavo è stata resa possibile dall’attivazione di un capitolo LSU su richiesta dell’Amm.ne Com.le di Castell’Azzara. Nell’ambito del progetto, e su richiesta della stessa, è stato organizzato un corso di formazione professionale della provincia di Grosseto per tecnico di scavo archeologico.

1: un primo contributo sulle finalità del progetto e di presentazione della zona è in FRANCOVICH et alii 1997. Per altre ricerche in area amiatina KURZE 1974, 1982, 1985, REDON 1989, WICKHAM 1989. Per la parte archeologica CAMBI a cura di 1996.

 

 

 

Il castello di Selvena. Primo approccio alle fonti scritte .

Roberto Farinelli

La storia medievale del castello di Selvena è stata caratterizzata dalla nascita e dallo sviluppo di forti poteri signorili e dallo sfruttamento dei vicini giacimenti di mercurio, ampiamente utilizzati già prima della fine del XIII secolo2.

La più antica attestazione documentaria di Selvena è contenuta in un atto dell'833, mediante il quale Stefano del fu Iffo, "comis de cibe Suana", confermò per cartula donationis a Dabit del fu Piperello una casa sita "in Silbina" che precedentemente lo stesso Dabit aveva tenuto "libellario nomine"3. Si tratta, con ogni probabilità, dei medesimi beni posti "in finibus Suanense in casalis Silbina" che il 26 giugno 873 Dabit del fu Agipert vendette al monastero di S.Salvatore al Montamiata, nella persona del "presbiter et propositus" Angelpert4; il giorno successivo lo stesso Angelpert conferì libellario nomine a Dabit del fu Agipert le terre presso Selvena da questi cedute al monastero5. Pochi mesi dopo, nel maggio 874, Angelpert acquisì per conto dell'abbazia di S.Salvatore altri beni posti "in fundo, bico et casali Silbina" a seguito della vendita effettuata da parte di "Uuido filius bone memorie Audolfo de bico Silbina" di due "petii de terre", situati nelle località "Badu reu" e "Clusura Arisilde", che quest'ultimo aveva comprato da tale Manolfo6.

Con ogni probabilità, questi beni costituirono il nucleo originario del patrimonio vantato dal monastero di S.Salvatore al Montamiata nell'area di Selvena, positivamente documentato sino agli anni Ottanta del secolo XI. A questi anni risale, tra l'altro, una celebre querela indirizzata all'imperatore, nella quale i monaci dichiaravano che il conte aldobrandesco Ugo del fu Ildebrando "iuxta castrum, quod Selvena vocatur, villam retinet ac suis pro sua in beneficio concessit"7. Considerata la natura di questo testo, molto puntuale nell'enunciare i nomi delle località in rapporto alle quali il monastero lamentava di aver subito danni ad opera degli Aldobrandeschi, dobbiamo ritenere che il villaggio in questione fosse proprio Selvena, e che il suo nome venne taciuto solo perché si era fatto riferimento immediatamente sopra all'omonimo castello8. Del resto possiamo intravedere forti elementi di continuità tra la villa in cui il monastero vantava diritti patrimoniali nel secolo XI e l'insediamento di Silbina (definito fundus, casale, vicus), cui nel IX secolo facevano capo i possessi monastici sopra ricordati.

Il contenuto della querela ha attratto l'attenzione degli studiosi per le implicazioni che se ne ricavano in ordine alla nascita dei poteri signorili in termini di abusi perpetrati dagli Aldobrandeschi, conti di Sovana, contro il patrimonio monastico9. Se la fonte, quindi, palesa il controllo del castello di Selvena da parte dei conti di Sovana nella seconda metà dell'XI secolo, non dobbiamo trascurare, come si è visto sopra, che la presenza dei titolari delle più elevate cariche pubbliche è testimoniata nell'area sin dal IX secolo.

In considerazione del ruolo egemone svolto durante l'alto medioevo dai poteri pubblici nello sfruttamento delle risorse minerarie toscane10, risultano assai significative per il territorio di Selvena la presenza di consistenti beni fiscali e la rilevanza dei poteri esercitati su di esso dai vertici politici laici, le quali, tuttavia, possono essere colte solo indirettamente, attraverso la documentazione conservata nell'archivio del monastero di S.Salvatore al Montamiata. Proprio la disponibilità patrimoniale in Selvena vantata da Stefano, figlio di Iffo, attestata nell'833, costituisce un indizio significativo del ruolo rivestito durante l'alto medioevo nel controllo di questo territorio dai conti di Sovana, nella cui giurisdizione era compresa anche Selvena; inoltre, l'esistenza in questo medesimo comprensorio di beni originariamente connessi al fisco regio può essere desunta dallo stesso nome della località "Badu Reu"11. Del resto, nonostante gli acquisti patrimoniali che i monaci effettuarono nella seconda metà del IX secolo attraverso cessioni operate da possessori locali e nonostante l'abbazia di S. Salvatore si configurasse come un forte centro di potere pubblico - alternativo e a tratti concorrente nel territorio amiatino rispetto ai titolari della carica comitale - i diritti sulle risorse minerarie del comprensorio di Selvena sembrano rimasti saldamente nelle mani dei conti di Sovana, senza passare nella disponibilità del monastero.

Così, la nascita del castello di Selvena si inquadra nel fenomeno della 'feudalizzazione' dei pubblici uffici - attestato in quest'area durante l'età ottoniana - che comportò l'appropriazione da parte degli Aldobrandeschi di prerogative eminentemente pubbliche (quali l'esercizio di diritti minerari) e di ampi beni fiscali12. Nella documentazione successiva concernente il castello emerge il rilevante peso economico e strategico ad esso attribuito dagli Aldobrandeschi, tanto che nel testamento dettato nel 1208 da Ildebrandino VIII un legato di ben 1000 marche di argento a favore della moglie Adelasia fu garantito impegnando i redditi di Selvena, che nell'arco di un tempo limitato si prevedevano addirittura eccedenti rispetto a tale cifra13. Nel corso del Duecento, inoltre, il castello fu indicato come dominio diretto della casata e nel 1274 venne incluso nel gruppo delle dodici "fortilictie" suddivise tra i due rami principali degli Aldobrandeschi mediante una pattuizione specifica14. La rilevanza economica delle miniere di mercurio del comprensorio di Selvena emerge dal fatto che, negli atti di divisione del patrimonio comitale, il controllo su di esse rimaneva comune, sfuggendo ai singoli esponenti della casata che detenevano la signoria sul castello e rappresentando in tal modo una delle poche prerogative connesse alla titolarità della contea.

Le medesime opportunità economiche offerte dal controllo sui giacimenti locali attirarono le mire espansionistiche dei principali soggetti politici operanti nell'area, sin dall'inizio del XIII secolo.

Il comune di Orvieto, perseguendo il disegno di affermare il proprio dominio politico su alcune signorie aldobrandesche che gli erano state sottoposte già nel 1216, conseguì il 28 novembre 1223 l'immissione nel possesso del castello di Selvena15.

Durante gli anni Quaranta del Duecento Selvena subì un assedio da parte delle truppe di Federico II guidate dal vicario imperiale: il 6 aprile 1241 Pandolfo da Fasanella datava i propri atti "in mezzo all'esercito, presso Selvena"16, ed ancora nel luglio successivo un corriere inviato dal comune di S.Gimignano si recava a Selvena, presso lo stesso conte Pandolfo17. Nel gennaio 1251, poco dopo la morte di Federico II, il comune di Orvieto esercitò pressioni sui castellani di Selvena, Sovana, Sorano e Rocchette di Fazio, affinché consegnassero questi centri al comune medesimo, il quale a sua volta li avrebbe trasmessi agli Aldobrandeschi18. Nelle convulse vicende che seguirono, invece, fu il comune di Siena, aderente alla parte imperiale, a conseguire il controllo su Selvena, come emerge da una pace stipulata nel maggio 1251 con il conte Ildebrandino XI Aldobrandeschi, al quale i senesi restituirono il controllo del castello, che da questo momento venne inserito nella contea di Santa Fiora19.

Nel 1339 Iacopo e Pietro di Bonifacio, conti di Santa Fiora, sottomisero a Siena la corte conte Iacopo, il comune di Siena prese possesso dei beni ereditati, ma nel frattempo, a seguito di una vendita effettuata dal conte Pietro di Santa Fiora, si erano impossessati di Selvena anche gli Orsini, conti di Sovana22.

Il secondo Trecento fu caratterizzato da un lato dal sostanziale abbandono del castello, ridotto ormai a caposaldo militare, dall'altro dai ripetuti confronti bellici che videro opporsi i conti Orsini, il comune di Siena, i Baschi di Montemerano ed i conti di Santa Fiora, che dagli inizi del XV secolo si assicurarono il controllo del centro. Durante la Guerra di Siena furono effettuati interventi di potenziamento delle fortificazioni della contea di Santa Fiora, con particolare riferimento a quelle di Selvena, come si affermava in uno scritto dell'agosto 155523. Se prestiamo fede ad una fonte cronistica, ancora nel 1597 Selvena si presentava come una "rocca fortissima" utilizzata temporaneamente come prigione24.

Successivamente, perduta la sua funzione militare, la fortezza venne abbandonata come residenza signorile a favore del palazzo edificato nella sottostante area pianeggiante, il cosiddetto "Palazzo del Duca"25. Le strutture della rocca vennero adibite a dimore rurali per i contadini ed i pastori operanti nella tenuta, come testimoniano a partire dalla metà del Settecento gli scritti di Giovanni Antonio Pecci ed il Catasto Leopoldino26. Solo con il Primo Novecento vennero ricostruiti degli edifici nell'area sottostante la rocca, in connessione alla ripresa delle attività estrattive locali; tali interventi, però, non andarono ad interessare la porzione sommitale dell'altura, che venne invece definitivamente abbandonata27.

 

 

NOTE

2 Sulla pregnanza dei poteri signorili associati al castello cfr. FARINELLI 1996; BIANCHI, CITTER, FARINELLI, FRANCOVICH 1997a; FARINELLI 1996; BIANCHI, CITTER, FARINELLI, FRANCOVICH 1997b; COLLAVINI 1998 ad indicem; FARINELLI, FRANCOVICH c.s.. Il casntimonio , entro i quali si può ipotizzare fosse incluso anche argento (cfr. Mercati 1717-1719; Targioni Tozzetti 1777, pp. 61-63; Santi 1795, p. 188; Biondi 1990 e il recente MAMBRINI, MERLI 1999.

3 Kurze 1974-1998, I, pp. 232-234, n. 110.

4 Kurze 1974-1998, I, pp. 324-326, n. 154.

5 MARROCCHI 1998, n.1 pp. 20-22.

6 Kurze 1974-1998, I, pp. 327-329, n. 155.

7 Kurze 1974-1998, II, pp. 261-264, n. 309.

8 Per quanto riguarda l'identificazione della villa "iuxta castrum, quod Selvena vocatur", Simone Maria Collavini ritiene invece potersi trattare di Nebiano, accogliendo l'ubicazione di tale località in corrispondenza di Poggio al Nibbio, tra Selvena e Santa Fiora, proposta da Chris Wickham (COLLAVINI 1998, p. 134 ); a tale identificazione , però, Wilhelm Kurze, editore del documento, preferisce quella proposta da Marlene Polock che colloca Nebiano tra Acquapendente e Proceno (Cfr. Kurze 1974-1998, III/2, p. 291)

9 Collavini 1998, pp. 133-138.

10 Cfr. in proposito Farinelli, Francovich 1994 e Francovich, Wickham 1994 .

11 Kurze 1974, pp. 326-329, n. 155.

12 Collavini 1998, pp. 11-290.

13 Schneider 1911, n. 439, pp. 187-188.

14 Nella spartizione del 1274 Selvena venne attibuita a Ildebrandino XI, conte di Santa Fiora, mentre la miniera rimase indivisa con il cugino Ildebrandino XII, conte di Sovana, sebbene il primo avesse la possibilità di riscattarla in cambio di un congruo indennizzo. Cfr. da ultimo Collavini 1998, pp. 539-541.

15 COLLAVINI 1998, p. 328-329.

16 CIACCI 1939, II, n. 392, p. 148; cfr. anche VICARELLI 1972, p. 89.

17 Davidsohn, Forschungen II, nn. 328, 347, pp. 49, 51-52.

18 VICARELLI 1972, p. 91.

19 CV, II, n. 531, pp. 718-720. Ancora nel 1259 Selvena era controllata da Ildebrandino XI e tale stato di fatto venne sancito dall'atto di divisione del 1274; pochi anni dopo, nel 1286, una nuova spartizione assegnò ad Ildebrandino Novello, conte di S. Fiora, uno "ius [...] in argentifodinis Silvene" (Schneider 1907, n. 931: 1286 agosto 6) e nel 1297 Bonifacio II, conte di Santa Fiora, si vide riconoscere il possesso del castello di "[Silverie] cum cassero et turribus et fortilitia" (Schneider 1907, n. 973 cfr. COLLAVINI 1998, pp. 333ss.

20 VICARELLI 1972, p. 97.

21 ASS, Capitoli 3, cc. 235-236; cfr. anche VICARELLI 1972, p. 97

22 Infatti nel luglio 1348, Guido del fu Romano, conte di Sovana, ottenne ogni diritto rivendicato dal conte Pietro di Santa Fiora sulla terza parte della Rocca del castello di Selvena ("Castrum Silvene in Rocha suam tertiam partem") oltre che le quote di possesso deicastra di Semprugnano, Marsigliana, Capalbio, Scerpena e Montebuono. (VICARELLI 1972, p. 98).

23 Cappelli 1903.

24 VICARELLI 1973, p. 63.

25VICARELLI 1973, p. 58.

26 ASG, Antico Catasto, pianta della sezione H, sviluppo B.

27 Cfr. ASG, Antico Catasto Terreni, Tavole Indicative, Comunità di Santa Fiora, n. 7, sez. R, cartoncini, nn. 5 e 6.

 

 

 

 

Nell’ambito di un più vasto progetto di ricerca sui paesaggi antichi nel comprensorio amiatino28, l’occasione offerta dallo scavo del castello di Selvena ha suggerito di indirizzare da subito una parte dell’indagine nel territorio circostante il sito medievale.

Il Comune di Castell’Azzara si presenta, sotto l’aspetto geografico, come una porzione di territorio morfologicamente vario, dal momento che è a cavallo fra due valli, quella del Fiora a ovest e quella del Paglia a est. Pertanto il Monte Civitella, con i suoi 1100 m. slm. costituisce non solo lo spartiacque geografico, ma anche un limite fisico fra due aree: sarà interessante valutare in che misura questo abbia inciso in termini di dinamica dell’insediamento nelle diverse epoche. In base alla carta dell’uso del suolo possiamo notare che oggi lo sfruttamento agricolo-pastorale contemporaneo(principalmente campi arati per far crescere i pascoli ) ha come quota massima i 600 –700 mt, oltre la quale si estende il bosco. Nel versante di Selvena le aree sottoposte a dissodamento, seppure superficiale e per uso pascolo, sono concentrate in una fascia nord –sud a una quota compresa tra i 400 e i 600 mt ; mentre per la val di Paglia possiamo parlare di un’area estesa che va dal fiume Paglia(300 mt) fino ad una quota di 700 mt. Queste considerazioni consentono di affermare che rispetto alle pianure coltivate della costa, l’area in esame presenta difficoltà nell’impostare una campionatura rappresentativa del territorio, va aggiunto inoltre che i boschi più o meno fitti e i pascoli rendono un grado di visibilità molto scarso. Pertanto le aree effettivamente percorribili secondo il metodo tradizionale di campionatura sono molto ridotte e distribuite in modo non omogeneo. Per questo motivo la strategia di approccio al territorio ha reso necessaria una correzione, pena l’impossibilità stessa di reperire informazioni utili ai fini della ricostruzione storica.

In primo luogo, pur all’interno di transetti di tipo tradizionale, sono state effettuate ricognizioni intensive nelle sole aree con visiblità medio-alta, in secondo luogo è stato approntato un progetto di studio della foto aerea L’analisi delle anomalie riscontrabili da foto aerea è risultata uno strumento ancora più valido e insostituibile rispetto ad altri contesti geografici. Una prima passata ha permesso di individuare infatti 25 anomalie da verificare (si veda più avanti il contributo di Anna Caprasecca). Anche la toponomastica, pur se da utilizzare sempre con cautela, ha fornito notevole aiuto nella localizzazione di alcuni siti. In alcune occasioni infatti la verifica di segnalazioni di questo tipo mediante ricognizione puntuale è risultata l’unica strada percorribile.

 

Osservazioni preliminari sui dati delle campagne 1998-99

Preistoria e Protostoria

 

Questo periodo è poco documentato al momento, poiché abbiamo solo 6 segnalazioni, per lo più dall’edito, che riguardano ritrovamenti sporadici di utensili, quali asce e picconi litici rinvenuti nelle vicinanze delle miniere contemporanee e in ripari naturali. In alcune di queste segnalazioni soprattutto dell’età del bronzo, notiamo che esiste una relazione molto stretta tra lo sfruttamento della risorsa mineraria moderna ed il luogo di rinvenimento dei reperti ……( il cinabro usato come colorante )

La nostra ricognizione non ha individuato al momento nessun abitato di questo periodo ma solo ritrovamenti sporadici, molto frequentemente in giacitura secondaria. Presso il Pod. Banditella, che si trova in prossimità del Fiume Fiora, abbiamo un ritrovamento più consistente di frammenti in diaspro ritoccati, forse da attribuire alla frequentazione di un terrazzo fluviale.

 

Periodo etrusco

Anche per il periodo etrusco abbiamo una segnalazione dalla letteratura di un ritrovamento sporadico, una moneta d’oro di Filippo di Macedonia associata a resti di defunti ritrovati in una antica galleria di una miniera di cinabro(Min. del Cornacchino)

Di particolare interesse segnaliamo un abitato fortificato etrusco sulla sommità di Monte Civitella, toponimo che frequentemente in Toscana è associato a siti di questo tipo. La ricognizione ha permesso di individuare una recinzione ora coperta dalla vegetazione, che protegge la parte più esposta del poggio. Subito sotto altri due rinvenimenti costituiti da ceramiche comuni da fuoco e molti dolia fanno pensare ad unità insediative di tipo abitativo. Pertanto l’occupazione etrusca di questa sommità sembra permanente e non occasionale32.

Per l’età romana segnaliamo invece un complesso di siti in località Querciolaia, un’area quasi pianeggiante a ridosso del Fiora, e una delle poche zone coltivabili anche in antico, costituito da una fattoria con vari annessi intorno e una sepoltura33.

Per il medioevo oltre al castello di Selvena segnaliamo il castello di Poggio della Vecchia (erroneamente identificato con la sommità del Monte Penna), evidente anche da foto aerea. Il sito è costituito da una cinta muraria ben visibile per tutto il tracciato a forma di L, poiché l’altro lato è naturalmente difeso dal dirupo. La tecnica costruttiva è a secco, con conci non squadrati di grosse dimensioni. I materiali reperiti durante due ricognizioni successive sono riferibili a contesti acromi premaiolica, pertanto possiamo datare l’abbandono entro i primi decenni del XIII secolo34.

Un abitato medievale di difficile lettura dato lo stato della vegetazione, è ubicato a Castelmaggi. La ricognizione e l’analisi della foto aerea hanno evidenziato la presenza di due strutture di forma quadrilatera affiancate che coprono una superficie di circa mezzo ettaro.

 

 

 

NOTE

 

28: il progetto è a sua volta parte della carta archeologica della Provincia di Grosseto sotto la direzione scientifica del Prof. Riccardo Francovich e il coordinamento di Carlo Citter.

29: l’analisi della foto aerea del Comune di Castell’Azzara è parte della tesi di laurea di Anna Caprasecca.

30: in particolare i numeri AST f. 129, 111, 114, 115, 116, 117.

31: le anomalie sono state rilevate da Marcello Cosci nell’ambito del progetto Atlante dei Siti Fortificati d’Altura e da Anna Caprasecca nell’ambito della tesi di laurea dal titolo “fotointerpretazione archeologica del comprensorio amiatino” - relatore Prof. Francovich.

32: per quanto riguarda una cronologia più precisa attendiamo che i reperti siano esaminati, anche se frammenti di vernice nera orienterebbero per l’età ellenistica.

33: l’associazione di vernice nera e sigillata italica, seppure in modeste quantità, suggerisce di vedere in questi siti la prima occupazione romana delle pendici amiatine intorno al I sec. a.C.

34: questo fatto concorda con le fonti scritte che parlano di un abbandono nello stesso periodo. Vedi.......

 

 

 

 

 

 

FOTOINTERPRETAZIONE ARCHEOLOGICA DEL COMPRENSORIO AMIATINO - IL COMUNE DI CASTELL’AZZARA.

L’indagine di archeologia dei paesaggi sul versante grossetano del Monte Amiata consente di effettuare una verifica puntuale di quanto emerge dalla fotointerpretazione condotta in due fasi distinte. La prima effettuata da M. Cosci per la redazione dell’Atlante dei siti d’altura fortificati della Toscana, la seconda come parte della tesi di laurea della scrivente che ha per oggetto la valutazione della potenzialità informativa della foto aerea in relazione allo studio dei paesaggi antichi35.

L’analisi delle foto è partita con il volo Eira del 1976 e proseguirà con altri voli, in particolare quello IGMI del 1954 e possibilmente anche le riprese della RAF degli anni ‘40.

La lettura stereoscopica ha permesso di evidenziare 13 anomalie nel territorio comunale di Castell’Azzara, di cui si fornisce di seguito una brevissima scheda36.

Da un punto di vista metodologico la folta vegetazione arborea ha reso difficile in alcuni punti la lettura stereoscopica e di conseguenza anche la verifica sul campo. Per enfatizzare quanto emerso dallo stereoscopio, le anomalie sono state rifotografate e poi scansionate ad alta risoluzione quindi elaborate con un comune programma di fotoritocco37.

Da un punto di vista tipologico le anomalie censite sono riconducibili a strutture murarie in alzato o sepolte dalla vegetazione, insieme alla tipica traccia di forma ellissoidale, assai comune nei siti fortificati d’altura, anche se di difficile inquadramento cronologico senza un’adeguata ricognizione sul campo.

La verifica sul campo ha interessato al momento 7 delle 13 anomalie schedate rinvenendo su 5 di esse un sito archeologico.

 

Catalogo delle anomalie censite per il Comune di Castell’Azzara in base all’analisi del volo EIRA 1976.

Scheda n°26

Località: poggio monte Rotondo

Copertura: pascolo

Descrizione: sulla sommità che presenta un andamento circolare é visibile una traccia di forma quadrangolare

 

Scheda n°24

Località: poggio Castelmaggi

Copertura: bosco fitto

Descrizione: sulla sommità lievemente pianeggiante sono presenti due edifici quadrangolari e forse una traccia semiellissoidale

 

Scheda n°25

Località: la Roccaccia

Descrizione: sono visibili due cinte murarie e tracce riguardanti le abitazioni del borgo sottostante la rocca

 

Scheda n°6

Località: poggio Castellonchio

Copertura: bosco fitto

Descrizione: sulla sommità del poggio è visibile un’area delimitata da una traccia ellissoidale

 

Scheda n°10

Locaità: a nord di località Beffardo, nei pressi del torrente Siele

Copertura: bosco

Descrizione: sono visibili due strutture in parte in alzato di forma quadrangolare, di piccole dimensioni in prossimità del letto fluviale del torrente

 

Scheda n°8

Località: fattoria del Rigo

Copertura: pascolo-coltivo

Descrizione: il poggio è in parte circondato da una traccia semicircolare,accanto all’abitazione in alzato é inoltre visibile una traccia rettangolare di piccole dimensioni

 

Scheda n°5

Località: poggio della Vecchia

Copertura: pascolo-boschivo

Descrizione: è visibile una struttura a forma di L, che la verifica sul campo ha indicato come una cinta muraria. Sull’area sommitale è presente una traccia di una struttura di forma quadrangolare identificabile con una torre

 

Scheda n°9

Località: monte Civitella

Copertura: pascolo-boschivo

Descrizione: sull’area sommitale è appena visibile una traccia con andamento circolare

 

Scheda n°16

Località: poggio Concianese

Copertura : pascolo

Descrizione: su tutta l’area sono presenti tracce di recinzioni agricole, si notano alcune piccole strutture in alzato di forma quadrangolare

 

Scheda n°7

Località: poggio Ciabattino

Copertura: bosco

Descrizione: nella vegetazione si nota una traccia con andamento circolare

 

Scheda n°119

Località: Murceti

Copertura: bosco

Descrizione: sono visibili piccole strutture in alzato di forma quadrangolare, all’interno di un’area di forma pseudocircolare

 

Scheda n°11

Località: Castell’azzara

Descrizione: nel centro abitato è visibile la forma del primo impianto urbano, medievale

 

Scheda n°17

Località: a nord di Murceti nei pressi del fosso del Canale

Copertura: bosco

Descrizione: si nota una traccia di piccole dimensioni di forma circolare

 

 

Anna Caprasecca

 

 

 

35: entambe queste ricerche sono sotto la dierezione scientifica di R. Francovich.

36: la numerazione che segue tiene conto di un catalogo progressivo di tutto il comprensorio amiatino.

37: Photoshop 5.02 in regolare licenza d’uso al Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti n° PS 1400 E7000022-010.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE STRUTTURE MURARIE DELL'AREA SOMMITALE: CONSIDERAZIONI PRELIMINARI.

 

Introduzione

L'analisi degli edifici compresi nell'area sommitale di Rocca Silvana ha preso avvio nel marzo 1997, preliminarmente ai primi saggi di scavo. L'occasione è stata fornita da uno stage sul campo, coordinato da chi scrive, nell'ambito di un corso di formazione professionale durante il quale un gruppo di laurati in varie discipline si è esercitato nella lettura di parte del complesso monumentale utilizzando metodologie proprie dell'archeologia dell'architettura38 .

Date le finalità di formazione del corso e l'urgenza di analizzare un edificio prossimamente oggetto di un importante restauro curato dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Grosseto, la ricerca si è particolarmente concentrata sul palazzo signorile. In contemporanea è iniziata però l'indagine, in corso di approfondimento, degli edifici contigui al palazzo, della cinta sommitale e delle strutture comprese al suo interno. Per il momento, in attesa di ampliare il campo di indagine, è rimasto escluso da questo lavoro lo studio dell'ampio borgo che si estende sui terrazzamenti sottostanti l'area sommitale, lungo le pendici nord-ovest.

Prime sintesi sui risultati dell'indagine

Nelle strutture dell'area sommitale e in particolare del palazzo, per il momento, non sono visibili tratti o lacerti di muratura relativi a periodi antecedenti l'XI secolo. In mancanza attualmente di griglie cronologiche più sicure, desumibili dal proseguimento dell'analisi documentaria e dai futuri dati di scavo, si può quindi preliminarmente ipotizzare un raggruppamento delle principali attività costruttive, in sei grandi periodi.

Periodo A:

In questo primo periodo, ascrivibile con probabilità fra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo, si ebbe l'edificazione delle due piccole torri poste nella zona più alta del pianoro sommitale, ad est la prima poco distante dal palazzo, ad ovest la seconda immediatamente adiacente quest'ultimo edificio (fig.1). È possibile che le due torri, costruite con grossi conci di locale calcare, fossero collegate da un'originaria cinta muraria in pietra o in legno che definiva così una prima area fortificata sommitale.

 

 

Periodo B:

Al secondo periodo, compreso tra la seconda metà del XII secolo e i primi decenni di quello successivo, apparterebbe la riorganizzazione di questa originaria area fortificata. Adiacente alla torre posta ad ovest fu costruito un edificio con il perimetro corrispondente a quello dell'attuale palazzo. L'edificio, a cui appartengono dei lacerti di muratura presenti nelle parti inferiori dei lati perimetrali del palazzo, era probabilmente dotato di un fondo cieco e di un piano terreno provvisto di solaio ligneo di cui rimane traccia, lungo il lato nord, nelle buche di alloggio per i travi di sostegno. Il passaggio tra l'interno del nuovo ambiente e la preesistente, adiacente torre fu permesso dall'apertura di una piccola porta nel lato est della stessa torre.

Sempre in questo periodo avvenne la costruzione di una cinta muraria destinata a chiudere il resto del pianoro sommitale. Un consistente tratto di muratura, successivamente inglobato nel lato est dell'attuale cinta, costruito con la medesima tecnica muraria della nuova struttura abitativa, porta infatti ad ipotizzare l'esistenza in questo periodo di un circuito murario, di perimetro probabilmente inferiore rispetto al successivo, necessario per difendere gli altri edifici presenti a quel tempo nell'area sommitale (di cui per il momento non rimangono tracce visibili).

Periodo C:

Corrisponde alla costruzione della grande torre poligonale, quasi completamente conservata nella sua originaria imponenza (fig.1) La torre, edificata probabilmente a rinforzo del precedente circuito murario e successivamente inglobata nel nuovo, rappresenta un episodio costruttivo a sé nel complesso monumentale. La particolare forma dell'edificio, la tecnica muraria con rifinitura dei conci in pietra a bugnato, non trova confronti con le altre strutture sommitali. E' possibile, per tale motivo, rapportare questa attività ad un particolare momento storico, che comportò sicuramente l'arrivo di maestranze specializzate esterne. Momento che, in via del tutto preliminare, potremmo collocare alla metà del XIII secolo, in coincidenza proprio dell'occupazione della Rocca nel 1241, durante il regno di Federico II, da parte di un vicario imperiale.

Periodo D:

In questo periodo, cronologicamente compreso tra la fine del XIII secolo e la prima metà di quello successivo, si verifica il più consistente ampliamento dell'area sommitale (tav.1). In coincidenza, presumibilmente, del passaggio della Rocca nelle mani del conte Giacomo di S.Fiora, che la scelse come residenza principale, il precedente edificio ad un solo piano venne in parte ricostruito e dotato di un secondo livello, assumendo le forme dell'attuale palazzo. È probabile che in questi anni si provvedette alla riorganizzazione del cortile adiacente il palazzo, con la costruzione di nuove strutture e la realizzazione di una grande porta di accesso delle medesime dimensioni di quella che permetteva l'entrata al piano terreno del palazzo39.

Intorno alla residenza signorile furono costruiti nuovi edifici in pietra e la cinta, in particolare sul lato sud, subì un grande ampliamento, venendo così a definire il percorso del circuito murario oggi visibile (fig.2).

 

Periodo E:

Appartengono a questo periodo alcune operazioni di rifacimento e restauro nel palazzo e nel resto delle strutture murarie sommitali (fig.1).

Nel palazzo il rifacimento del solaio che divideva il piano terreno dal primo livello comportò un leggero innalzamento di quota dello stesso piano pavimentale e l'apertura di una nuova entrata ai piani alti, posta sul lato ovest. Contemporaneamente fu ricostruita la parte sommitale di tutti i muri perimetrali dell'edificio, con probabilità dotati di una nuova copertura, oggi distrutta. I rifacimenti riguardarono anche i tratti superiori dei muri che chiudevano a nord il preesistente cortile adiacente il palazzo, ora non più aperto ma trasformato in uno spazio abitativo chiuso.

Consistenti restauri della cinta muraria, portarono in alcuni casi, al totale rifacimento di interi tratti del circuito difensivo relativi in particolare alla parte nord-est.

Queste attività costruttive sono cronologicamente collocabili tra la fine del XIV secolo e la prima metà di quello successivo quando, dopo una serie di passaggi di proprietà e di relativi attacchi, la Rocca passò di nuovo nelle mani dei conti di S.Fiora che provvedettero probabilmente al suo restauro.

Periodo F:

L'ultimo periodo, caratterizzato da numerose attività costruttive, corrisponde al XVII secolo quando questa divenne dimora di contadini affittuari che vi apportano una serie di modifiche in relazione alle proprie esigenze.

L'interno del palazzo venne infatti suddiviso in tre piccoli ambienti dotati di una propria entrata. Nel cortile adiacente fu ricavata dal preesistente edificio una cisterna, mentre molte strutture comprese entro la cinta e parte della cinta stessa, subirono rifacimenti relativi ad operazioni di rialzamento o restauro di parte delle murature (fig.1).

 

 

NOTE

 

38 Il corso, organizzato dal Consorzio Protecno di Perugia, era finalizzato alla formazione di 'Tecnici esperti in diagnosi di edifici storico monumentali di epoca medievale'. Il gruppo dei corsisti che si è occupato dell'analisi stratigrafica degli elevati era composto dalle dottoresse Gabriella Campanella, Francesca Corgna, Raffaella Grilli e Carla Rossi . È dal loro lavoro, riassunto in un rapporto scritto per l'esame finale del corso, che sono stati desunti buona parte dei dati, sintenticamente esposti in questo contributo.

39 Tra le nuove strutture è possibile che vi fosse anche l'edificio a pianta trapezoidale adiacente alla torre, successivamente trasformato in cisterna.



Fonte: