Le feste paesane di Selvena



La festività più importante per il paese è quella del 10 settembre, quando si celebra il patrono di Selvena, San Nicola da Tolentino. Gli anziani ci raccontano che negli anni passati, in quel giorno, venivano organizzati vari tipi di manifestazioni. Una delle prime era la famosa corsa dei cavalli nella quale gareggiava gente del posto e che si svolgeva su di un percorso che dal cimitero arrivaa alle Fabbriche. La gara era seguita da tutto il paese, diviso nel tifo per l'uno o l'altro fantino. Al vincitore veniva assegnata una bandiera con stampata l'effigie del patrono. Col passare degli anni, i cavalli furono sostituiti dai somari; questi animali che non venivano sellati rendevano la competizione più entusiasmante, perchè non sempre eseguivano i comandi di chi li cavalcava.

Si verificavano spesso delle cadute che a volte arrecavano dei seri danni agli intrepidi e baldanzosi cavallerizzi; la gente che si accalcava ai lati della pista si sbel1icava dalle risate ogni qualvolta avveniva un ruzzolone. Negli anni a seguire agli animali si avvicendarono le biciclette; i concorrenti si affrontavano su un tragitto pieno di difficoltà sia per la condizione precaria della strada che per la lunghezza della gara. Si partiva infatti da Selvena, si arrivava a Castell'Azzara e si tornava indietro. Al vincitore veniva consegnato un fiasco di vino e una forma di formaggio.

Negli anni settanta per San Nicola, si disputava la "corsa della secchia" con le moto. Il gioco aveva il seguente svolgimento: sopra ad ogni motocicletta salivano due persone, uno alla guida del mezzo e l'altro in piedi sul sellino, che teneva un bastone in mano. Al momento del via, la moto incominciava a muoversi lentamente fino ad arrivare sotto alla secchia, che poco prima era stata riempita d'acqua e sollevata da terra facendo passare una fune all'interno del manico. A questo punto il concorrente con in mano il bastone doveva infilano in un buco fatto in una tavoletta di castagno, ben legata alla secchia, riprenderlo dalla parte opposta senza farsi rovesciare l'acqua sulla testa. Si effettuavano alcune "infilate" e la coppia che aveva totalizzato più punti, riceveva il premio messo in palio.

Anche le corse podistiche entrarono a far parte del programma nel giorno del patrono; fra i vari percorsi proposti dagli organizzatori ne citiamo due particolarmente impegnativi: il primo era la Selvena-Poggiomontone- Bivio Terni-Selvena e l'altro la mitica Selvena-Faggeto-Querciolaia-Selvena di km. 12,800.

Con l'arrivo del dottor Francini fu riproposta ai paesani la corsa dei cavalli; l'evento riscosse molto successo e vide la partecipazione alla gara di diverse scuderie dei paesi vicini, il dottore riuscì a portare a Selvena dei magnifici cavalli provenienti da Porto Santo Stefano (suo paese di origine) e da Pitigliano. Oltre a questi fece gareggiare anche i suoi, che vennero montati da provetti fantini selvignani come Massimo Rossi e Vittoria Ginanneschi. Il percorso rispetto agli anni passati, venne cambiato; si gareggiava infatti nella località denominata "Prati" vicino alla pineta. La pista fu realizzata per l'occasione con un percorso delimitato da una staccionata di legno. La corsa era ad eliminazione diretta e il cavallo che dopo aver effettuato tre giri di pista tagliava per primo il traguardo, passava alla manche finale dove il vincitore si aggiudicava il trofeo. Un altro premio veniva consegnato al proprietario dell'animale più bello.

Per concludere questa carrellata di avvenimenti che riguardano la festa di San Nicola, non possiamo dimenticare i giochi paesani come il tiro alla fune, la corsa degli uomini insaccati, la pentolaccia. l'albero della cuccagna e la corsa della pastasciutta: Erano tutti divertimenti che riscuotevano un enorme successo, tra tutti vogliamo però descrivere lo svolgimento di quest'ultimo. Si allestiva un tavolo con dei piatti di spaghetti conditi con il sugo accanto ai quali venivano posizionati dei bicchieri, alcuni pieni di vino ed altri di farina. Ai concorrenti venivano legate le mani dietro alla schiena e dopo che era stato decretato il via da un giudice, essi correvano al tavolo e con il solo uso della bocca, dovevano mangiare la pasta, bere il vivo e soffiare la farina fino a farla uscire tutta dal bicchiere. Vinceva la gara la persona che riusciva a fare tutto questo nel minor tempo possibile. Ciò che faceva divertire gli spettatori, erano le facce dei partecipanti alla fine della competizione, sembravano dei veri pagliacci, con il sugo che arrivava fino alle orecchie, la farina "appiccicata" alla pelle e il vino che colando dai lati della bocca colorava di rosso il collo. Tra i tanti protagonisti di questa manifestazione, due in particolare vengono ricordati per la loro bravura: Latino Pecorini e Selvio Tosi.

Negli anni passati. per la festività del santo patrono, veniva rispettata una tradizione: di prima mattina i paesani venivano svegliati dallo scoppiettio dei mortaletti, mentre la sera immancabilmente ci si preparava a lanciare il pallone. Questo rito veniva effettuato in Piazza Concordia, utilizzando dei modelli realizzati con la carta che, qualche volta, prendevano fuoco non riuscendo ad alzarsi in volo tra la delusione generale degli spettatori. Una "diceria" di quegli anni voleva che l'annata sarebbe stata buona se il pallone saliva in cielo diritto, mentre sarebbe stata pessima se il pallone salendo piegava a destra o a sinistra. Dopo qualche anno, si aggiunsero ai festeggiamenti i fuochi artificiali; quest'ultimo spettacolo, interrotto per diverso tempo, è stato riproposto ultimamente dall'Associazione Pro Loco di Selvena.

Non bisogna dimenticare che il giorno di San Nicola è una ricorrenza prevalentemente religiosa; il parroco presiedeva, come tuttora, la processione che sfilava per le vie del paese con la statua del santo patrono portato a braccia da alcuni selvignani. Un tempo, tutti i preparativi inerenti a questo rito, venivano per lo più espletati dal "camerlengo"; questa figura poteva essere uomo o donna ed oltre all'organizzazione delle processioni, era addetto anche alla pulizia e al mantenimento della chiesa. Finito il giro del paese, ci si ritrovava nella piazzetta della chiesa, dove anche oggi, c'è l'usanza di offrire alle persone presenti le "panette" di San Nicola. Queste, sono dei piccoli pani locali cotti al forno, che vengono contrassegnati con l'immagine del santo. La tradizione vuole che ogni componente della famiglia mangi, in quel giorno, un pezzetto di questo pane benedetto. Il giorno dopo San Nicola, ai tempi dei nostri nonni, la piazzetta di Selvena si animava per l'arrivo di alcuni commercianti, che con i loro banchi di mercanzie, venivano a vendere i loro prodotti per la fiera. Tra questi ambulanti, si ricordano i "Giuliani", che arrivavano da Santa Fiora proponendo alle signore delle stoffe più o meno pregiate, per confezionare abiti e biancheria. Qualche donna invece veniva attirata dal vociare della "berciona" che faceva concorrenza ai più quotati Giuliani.

Il personaggio che raccoglieva più consensi dai giovani era un certo "Pastone" che portava il gelato da Castell'Azzara, dentro a dei "bigonzi" attaccati al somaro; egli preparava dei coni il cui costo era di dieci centesimi l'uno. L'unica bancarella che offriva dei giocattoli era sempre attorniata dai bambini, che viste le misere condizioni economiche delle famiglie, si dovevano accontentare solo di guardarli. In questa fiera si potevano acquistare o vendere degli animali, contrattando il prezzo per diverse ore; le specie che erano più richieste erano i somari, i cavalli, le vacche e i vitellini. Dal dopoguerra in poi i banchi divennero più numerosi; vengono citati i venditori di "nicciole", mandorle e fichi secchi, quelli di arnesi da lavoro, quelli che vendevano torchi, contenitori per far bollire il mosto e damigiane, quelli che vendevano cipolle, aglio e peperoni, etc. etc. Uno dei commercianti più caratteristici era Annibale, che viene ricordato per l'enorme stazza fisica e per la sua grande voracità. Egli aveva un pancione talmente prominente, che guidava la sua macchina con il seggiolino spostato tutto all'indietro. Un anno, nel giorno della fiera, si recò all'ora di pranzo al ristorante della "Olga" e mangiò cinquanta tortelli e un pollo arrosto. Col passare degli anni il commercio delle bestie andò pian piano scemando e la fiera quindi mutò il suo aspetto iniziale. Oggi, che la nostra popolazione è notevolmente diminuita, la fiera ha preso le sembianze di un semplice mercato. Un periodo molto importante per la comunità, era quello che precedeva la Pasqua.

Gli anziani ricordano che nei giorni antecedenti alla domenica, nel paese c'era un gran trambusto di persone, tutte prese a fare le cosiddette "pulizie pasquali". Si approfittava per ripulire la casa da tutte le cose inutili che erano state accumulate, vecchi oggetti venivano buttati via, si passava la calce nei muri delle abitazioni, si verniciavano i letti di ferro battuto e si passava l'olio di lino su porte e finestre. La sera del sabato santo si portavano le uova a benedire e la mattina seguente, con la tavola apparecchiata come se fosse mezzogiorno, venivano consumate dopo aver recitato le preghiere. Una tradizione che è cambiata nei modi rispetto al passato, è la processione della Via Crucis del venerdì santo. Ci viene detto da Alvaro Galilani che negli anni trenta, per effettuare il corteo religioso, la ditta Monte Amiata metteva a disposizione dei cavalli che venivano montati da cavalieri che rievocavano le gesta dei legionari romani. Questi, vestiti con dei mantelli rossi, seguivano il cireneo incappucciato e scalzo, che ripercorreva il calvario fatto da Gesù Cristo, portando la croce sulle spalle. Le donne al seguito, intonavano dei canti di chiesa e la banda accompagnava il corteo suonando musiche sacre. Due persone, vestite di stracci, fingevano di giocarsi ai dadi le vesti del Signore. Nella chiesa, ai lati, si mettevano dei lumini di coccio, dove si versava dell'olio e si apponeva della bambagia, che al rientro della processione veniva accesa e serviva ad illuminare l'ambiente, permettendo al parroco di officiare la "messa grande", cioè quella interamente cantata.

Anche la "Madonna di mezz?agosto" veniva festeggiata nel paese, infatti la sera del quattordici ci si preparava ad affrontare un particolare rito. In ogni borgata la gente riuniva degli sterpi, che venivano ammucchiati in alcuni spazi, distanti dalle case. Dopo cena si dava fuoco a quei rami secchi, le famiglie si riunivano intorno a quei falò e le donne più anziane recitavano a bassa voce le loro preghiere. I ragazzini approfittavano dell'occasione per giocare a nascondino e rincorrersi intorno al fuoco. Quando le ceneri si erano consumate, tutte le persone se ne ritornavano alle proprie case non prima di aver chiesto alcune "grazie" alla Madonna. Nell'ambito delle feste religiose non possiamo scordarci del Corpus Domini; qualche giorno prima di questa data le donne e gli uomini si recavano nei campi a raccogliere i fiori, che sarebbero serviti per abbellire le vie del paese. Le ginestre, le rose canine, le margherite erano quelli più usati perchè erano quelli più facili a repcrirsi La domenica mattina i petali dei fiori venivano posti i terra al centro della strada dove alcune persone con uno spiccato senso irtistico riuscivano a disegnare delle figure sacre nell attesa del passaggio della processione Nel 1999 1'Associazione Pro Loco propose ad alcuni paesani di formare con i petali dei fiori nella piazzette della chiesa gli stemmi delle tre contrade tra lo stupore della gente che ammirava la maestria di questi artisti, obbiettivo venne raggiunto con grande soddisfazione da parte del parroco.

Tra le feste religiose la piu sentita era senz'altro quella del Natale che riunisce sotto lo stesso tetto ogni nucleo familiare. Nei primi decenni del secolo a Selvena all'avvicinarsi di questa ricorrenza le famiglie si prodigavano per abbellire le misere case, dove si poteva trovare 1'albero di Natale che veniva decorato con aranci e mandarini in sostituzione delle palline. Alcune famiglie allestivano dei piccoli presepi adornati con statuette di gesso oltre a questo gli uomini raccoglievano del vischio che veniva posto sopra alle porte e alle finestre; era un sorta di benedizione per le case. Per recarsi alla messa di Natale le donne tiravano fuori dagli armadi i soli abiti buoni che possedevano, dopo averli ben sbattuti per togliere 1'eccesso di polvere e di carbonina che vi si era accumulata. Per la vigilia di Natale era tradizione preparare il mangiare per la sera e per il giorno dopo; la cena prevedeva tagliatini con i ceci, il crostino di pane con il cavolo lesso e il baccala in umido. Il giorno del 25 si consumavano i maccheroni al sugo il pollo il coniglio o il capretto; viste le ristrettezze economiche si optava per gli animali da cortile e difficilmente si comperava carne ai macelli. Il pomeriggio e la sera si trascorrevano in famiglia a giocare a tombola con amici e parenti. Ultimamente a Selvena le cose sono cambiate, il Natale, grazie alle iniziative dell'Associazione Pro Loco viene festeggiato anche per le vie del paese con manifestazioni di carattere folcioristico, come gli zampognari e piccole bande musicali vestite con abiti natalizi. Le contrade preparano, in luoghi stabiliti, delle cataste di legna, alle quali danno fuoco la sera del 25, mentre l'Associazione Pro Loco brucia la sua per la vigilia. Inoltre in quella sera si possono trovare anche dei punti di ristoro per degustare dei dolci e bere spumante e vin brulè. La gente, coinvolta dall'atmosfera che si viene a creare, segue con entusiasmo lo svolgersi dello spettacolo, proponendosi a volte come parte integrante di questo, con esibizioni canore e balli di gruppo.

Due ricorrenze classiche, che vengono festeggiate nel paese, sono quelle della Befana e del Carnevale. La prima ha una tradizione centenaria, si dice infatti che fin dai primi del novecento il canto della sera del 5 gennaio si intonava per le vie del paese. Alcune coppie di giovani, si travestivano da vecchi; l'uomo si presentava con l'impeccabile barba bianca, la gobba sotto ad un cappotto antico, con un bastone in mano e con passo incerto. La donna aveva il fazzoletto in testa, la scopa in mano ed uno scialle nero che copriva la finta gobba; inoltre una gonna lunga, che nascondeva le mutandone trinate fino ai polpacci e che ogni tanto veniva alzata per metterle in mostra. I "befani" erano accompagnati da un gruppo di canterini e suonatori, che raccoglievano ciò che la gente poteva offrire: uno di questi portava un paniere. un altro il fiasco del vino vuoto, con la speranza che qualche famiglia generosa avrebbe pensato a riempirli. Il dono più comune che veniva dato era il pezzo del maiale: la salsiccia, qualche fegatello, qualche pezzo di buristo o alcune fette di panetta. Finito il giro del paese, i giovani si ritrovavano in una casa per mangiare ciò che avevano racimolato e tra un bicchiere di vino e un pezzo di carne arrivavano fino al mattino. Alcuni, stanchi e avvinazzati, finivano per addormentarsi appoggiati al tavolo. Negli anni trenta fu istituita dal regime la "befana fascista", lo scopo era quello di elargire dei contributi alle famiglie per comperare le divise ai giovani; mentre la Società Monte Amiata distribuiva dei pacchi-dono per i figli dei minatori. Nelle case, le mamme facevano trovare attaccata al camino, la tradizionale calza, che conteneva quasi sempre dei cavallucci, delle caramelle, qualche pezzo di cioccolato, aglio, cipolla, carbone e raramente giocattoli e soldini. Asiana Tosi ricordava che in occasione di una "befana" le fu regalato un orcino per l'acqua che lei andava a riempire quotidianamente alla fonte del Belvedere, fino al giorno in cui inciampò in un sasso e il prezioso dono andò in mille pezzi tra le lacrime della bambina. l'usanza di cantare la befana è rimasta anche ai giorni nostri; molti gruppi di giovani e ragazzini, girano per il paese fin dalle prime ore serali, cercando di raggranellare qualche soldo che solitamente viene speso per andare tutti assieme a mangiare la pizza. La comitiva più numerosa che circola per le vie di Selvena è quella formata dal Corpo Filarmonico e dall'Associazione Pro Loco, che al suono di trombe e tromboni, darmi, sax e tamburi, invitano la gente a preparare qualche soldo per il loro imminente passaggio. Qualche famiglia più disponibile offre dei piccoli rinfreschi che servono a ristorare e far riposare i componenti della banda; una tappa fissa di tutti gli anni, viene fatta a casa di Leonello Balocchi. Sua moglie Antonietta, con l'aiuto della figlia Luidana, prepara con cura dei tramezzini, polenta "crociata" o fritta, accompagnando il tutto con un buon bicchiere di vino. La festa continua alla sera, all'ex asilo Fratelli Rosselli, dove ci si può scatenare ballando fino a dopo la mezzanotte. mentre i bambini più piccoli aspettano con ansia l'arrivo del giorno dopo per scartare i regali portati dalla Befana.

Subito dopo l'Epifania arriva il Carnevale, un periodo di festa che coinvolge soprattutto i più giovani. Nei primi decenni del novecento essi non vivevano questo momento come i bambini di oggi. I numerosi problemi che attanagliavano le famiglie, non davano la possibilità a queste ultime di poter acquistare per i propri figli gli abiti da indossare per quella ricorrenza. Nel periodo a cavallo tra le due guerre, i giovani più intraprendenti del paese, per giovedì grasso, muniti di uno "spito" a testa bussavano alle porte delle case con la speranza di ricevere un pezzo di salsiccia o di "mazzafegato" per poi cuocerli e mangiarli in compagnia. Si deve arrivare agli anni sessanta per poter vedere i primi spettacoli in maschera. L'idea partì dalle maestre della scuola elementare che riuscirono ad allestire, nell'ex cinema, delle recite fatte dai bambini vestiti con i classici abiti carnevaleschi come quelli da Arlecchino, Brighella, Pulcinella, Rosaura etc, ctc. Questa manifestazione era seguita con grande partecipazione da amici, parenti e genitori degli attori in erba. Per i più grandi venivano effettuate delle serate da ballo che finivano in un mare di coriandoli e stelle filanti. In questi ultimi anni l'Associazione Pro Loco ha proposto vari tipi di intrattenimento, dai pupazzi di cartapesta che furono fatti sfilare per le vie del paese sopra a dei trattori, accompagnati da una miriade di bambini mascherati, alla banda musicale "La Racchia" dotata di strumenti caratteristici realizzati con i più svariati oggetti fino ai clown "I Tati di Ovada". Anche le contrade partecipano ai festeggiamenti attuali, organizzando dei piccoli punti di ristoro, dove è possibile degustare i dolcetti tipici di Carnevale come le famose castagnole. Questa specialità culinaria veniva preparata fin dai tempi delle nostre nonne e bisnonne con questo procedimento. Le donne facevano la sfoglia, che veniva lavorata sulla "spianatoia" grande, poi l'impasto si tagliava a tocchetti, che venivano messi dentro alla padella piena di strutto di maiale. A cottura ultimata, quando avevano preso quel bel colore nocciola, si ricoprivano di miele, tolto dagli ziretti di coccio. Questi dolci erano una vera delizia per i ragazzi dell'epoca, che in men che non si dica li facevano sparire dal vassoio finendo con il leccarsi le dita e schioccando la lingua. Un'altra tradizionale festa paesana. che riguarda soprattutto i giovani è quella della ricorrenza del 1° maggio; fin dai tempi passati, la notte del 31 aprile, alcuni gruppi di sbarbatelli si riunivano per portare dei doni, trafugati in paese, alle fanciulle amate. L'usanza era di portare fiori e rami fioriti davanti alla porta delle ragazze che interessavano; cancelli, carrette. pali, ortica e "trogoli" davanti alla porta di quelle che si voleva disprezzare. Questo rito, che viene compiuto anche dai ragazzotti di oggi, fa indispettire alcuni paesani a cui vengono sottratte le proprie cose. La mattina del 1° maggio questi ultimi, sono costretti ad andare alla ricerca dei loro averi e con l'aiuto dei genitori delle ragazze riescono quasi sempre a farsi restituire la refurtiva.

Un 1° Maggio particolare, ricordato con grande emozione da chi l'ha vissuto in prima persona, fu quello del 1945. Si stava uscendo, finalmente, dal periodo più critico che la storia del nostro paese e dell'intera - Nazione abbiano vissuto: vent'anni di dittatura fascista durante i quali era stata abolita la Festa dei Lavoratori. La gente che cominciava a pregustare l'arrivo dell'imminente democrazia, si riversò nelle vie del paese, sfilando in un corteo le cui proporzioni erano simili a quelle della nostra attuale sfilata storica del 14 Agosto. I manifestanti si recarono in tutte le borgate di Selvena, dal Poggio alla Vecchia, al Molino, dal Belvedere al Borghetto per arrivare alle Case Nuove, dove nella piazzetta davanti all'attuale negozio di Alaide Dani, sotto le fronde di un grosso olmo, venne costruito un "Tavolaccio" dove furono posti due pupazzi che raffiguravano le due "bestie" del secolo scorso: Hitler e Mussolini. Tale opera fu realizzata con grande maestria e sagacia dalle sorelle Rossetti: Densa e Vienna. Questi personaggi venivano sbeffeggiati dagli uomini e dalle donne che arrivavano sul luogo e venivano percossi con dei bastoni; ogni paesano si sentiva in diritto di poter infierire contro di loro in qualsiasi maniera. Da un racconto di Lina Travagli ci viene descritta una scenetta a dir poco curiosa capitata ad un componente del corteo: Angelo Rossi. Costui, che era un ornino di piccola statura, si avvicinò al pupazzo di Mussolini, ed inferocito per i torti subiti durante la dittatura, cominciò a scuoterlo e punzecchiarlo finchè non gli cadde addosso, tra le risate generali della gente presente. Con molta difficoltà Angelo riuscì a liberarsi di quel pupazzo quando ad un tratto, tra l'ilarità delle persone, si udì una voce che gli gridò: "Meno male che era di stoffa e carta e non di ciccia". L'omino che era già in piedi ribattò prontamente: "Me ne sarei liberato ugualmente". Al sentire pronunciare quelle parole le persone presenti fecero un grande applauso al Rossi per la sua intraprendenza e risolutezza. La conclusione della festa nella piazzetta terminò con la messa al rogo dei due pupazzi. Quando il fuoco si spense e non rimase più niente, il corteo guidato da alcuni paesani come Furio Gallina, Golfredo Fontani ed altri riprese il cammino andando a terminare la lunga sfilata nella piazza Concordia, dove tra un bicchiere di vino e un panino e lo sventolare di bandiere rosse si potè assistere a dei comizi tenuti da alcuni rappresentanti provinciali, invitati per l'occasione sul luogo.

Dai racconti di Gabriella Gallina, Raffaella Guerrini e Laura Travagli, allora ragazzine, ci viene ricordato che in quel giorno le vie del paese vennero ornate di fiori e coccarde rosse e nei luoghi più caratteristici del paese, furono costruiti degli archi con fiori e ramoscelli di piante verdi. I bambini che volevano partecipare anch'essi alla festa, venivano vestiti da angioletti. Questa manifestazione "speciale" aiutò la gente di Selvena a seppellire le ombre del passato e contribuì a far nascere la speranza di poter costruire un futuro migliore per tutti. Anche i minatori avevano la loro festa riconosciuta: il 4 dicembre, giorno di Santa Barbara. Per l'occasione, la Società Monte Amiata aveva stabilito che il giorno tre, fosse pagata l'intera diana pur lavorando sei ore invece di otto, mentre il giorno della ricorrenza si faceva festa riscuotendo l'intera giornata. Negli anni venti, per Santa Barbara, la ditta offriva ai dipendenti un fiaschetto di vino, un panino e le sigarette; questo gesto faceva molto piacere agli operai. Verso il cinquanta i minatori si recavano in chiesa per la messa, poi alcuni si ritrovavano al Morone per un rinfresco a base di dolci e panini, fatto nel "refettorio", mentre altri andavano a mangiare nei ristoranti della zona. Ci viene detto che solo una volta il pranzo fu consumato, con tutti i minatori al completo, nella mensa della miniera e in quell'occasione furono scattate anche delle foto ricordo. Il menù fu preparato da Paolo Dani e Domenico Testi. Negli anni settanta, dopo la celebrazione religiosa, la merenda veniva consumata nel locale della "Olga", mentre negli ultimi anni di vita della miniera, con la presenza di Don Rino, sia la messa che il rinfresco venivano fatti al Morone dove si mangiavano panini ripieni di mortadella, prosciuttò e salame preparati e portati da Mario Dani. Alcuni ex minatori, particolarmente attaccati a questa ricorrenza, anche dopo la chiusura della miniera, hanno continuato, in quel giorno, a ritrovarsi insieme ricordando gli anni trascorsi in galleria.

Fonte: Viaggio nei ricordi del nostro paese, Selvena dal 1900 ad oggi di Stefano Fontani