La colonia



La Colonia fu costruita negli anni 1936-37 su idea di Favron, che era il responsabile del partito fascista. La struttura aveva quattro grandi portali con uscita di sicurezza e quattro grandi finestre; collegata ad essa c’era un piccolo bar. Accanto si trovava una baita di legno che fungeva da abitazione per un impiegato della miniera, certo signor Usai. La Colonia serviva da mensa scolastica per gli studenti delle elementari nel periodo delle lezioni; mentre d’estate, quando le scuole erano chiuse, veniva usata come ritrovo per i ragazzini, i quali oltre a giocare e divertirsi imparavano sotto la guida del partito fascista la disciplina, inoltre marciavano ed apprendevano i primi rudimenti dell’uso delle armi. Il sabato veniva dedicato agli addestramenti che si svolgevano nel prato annesso con i ragazzini vestiti da balilla. Praticamente si trattava di una scuola di partito nella quale i ragazzi inneggiavano alle gesta del Duce e approfondivano le tecniche per essere in grado di servire la patria. Le canzoni che accompagnavano le giornate degli scolari erano gli inni del fascio, che dovevano essere imparati assolutamente a memoria. Quasi ogni giorno Favron si recava a trovare questi ragazzi per verificare la loro preparazione in base alle nozioni fasciste e si racconta, che un giorno, in un incontro con essi quest’ultimo domandò al gruppo: “Se entrate dentro ad una stanza dove ci sono due cappelli, uno del Duce e l’altro di un maresciallo di reggimento, come fate a distinguerli?”. La curiosa risposta che fece andare su tutte le furie il Federale, fu data da Gino Sbrilli che disse: Dalla grandezza del cappello!”, ricordandosi l’enorme “capoccia” del Duce.

La Colonia, durante la guerra rimase chiusa; riaprì verso il 1946 e venne adibita a dopolavoro, vi si poteva giocare a carte e durante l’estate ballare con orchestrine dcl luogo. Quando questi complessini si esibivano, all’interno della sala non c’era tanto spazio, perchè una parte veniva occupata dalle mamme che accompagnavano le figlie (servendo anche da reggicappotti) e una parte dalla grande quantità di gente che voleva ballare. Si era perciò pensato ad un accorgimento per dare la possibilità a tutti di divertirsi; all’ingresso del salone, venivano consegnati, da alcuni addetti, dei fiocchetti di colore diverso. All’inizio della prima canzone veniva chiamato un colore, allora si buttavano nella mischia solo coloro che lo possedevano e gli altri attendevano pazientemente il loro turno. chiacchierando o recandosi a bere presso il piccolo bar attiguo. Certe volte venivano allestite anche delle piccole rappresentazioni teatrali o dei giochi di magia. A tal proposito si ricorda che Luigi Cecchi, con abilità e destrezza, riusciva a far sparire una monetina dalla mano, suscitando l’incredulità dci presenti che non riuscivano a capire come lui potesse fare.

Negli anni successivi la Colonia fu abbandonata e qualcuno pensò bene di rubare le porte e le finestre da utilizzare per i propri interessi. Verso la metà degli anni ‘50 crollò il soffitto e rimasero in piedi solo le mura perimetrali. Prima della sua demolizione avvenuta il 16 maggio 1994 (per lasciar posto alla pista polivalente), i ragazzi di Selvena usufruivano dell’interno della Colonia per giocare a pallone. Oggi, parlando con alcuni anziani del paese ci accorgiamo che nelle loro parole c’è un pizzico di rammarico per la struttura che non esiste più, nella quale loro hanno trascorso, forse, i migliori momenti della loro gioventù.

Fonte: Viaggio nei ricordi del nostro paese, Selvena dal 1900 ad oggi di Stefano Fontani