Il Migliorini



Un omicidio particolare è quello del Migliorini. Il suo nome era Nofroni Antonio, detto Tonino, ma non è riportato nel libro dei defunti, perché fu sepolto a Selvena. Sono certi i fatti avvenuti intorno al 1920, ma non si conosce l?origine del soprannome. Si ricorda, invece, un suo modo di dire. A chi gli domandava perché non tagliava una gran quercia che ingombrava vicino casa, rispondeva: “La lascio per il più bisogno”, intendendo di volerla lasciare per quando ce ne fosse stato più bisogno. Il Migliorini è figura misteriosa, un po? misantropo, un po? eremita. La famiglia abitava sotto il Prato. Era scapolo, si trasferì da solo nella Contea, sotto Poggiopinzo, dicioccò le macchie, fece dei campi e li bonificò. Quei campi tuttora si chiamano del Migliorini. Lì teneva alcune pecore, polli e altri animali. Aveva costruito delle capanne per le bestie e per sé. Sotto un grande masso aveva ricavato la cucina e la cantina, dove teneva al fresco vino, frutta e verdura. Quando accendeva il fuoco, il fumo usciva da un foro praticato nel sasso. Questo masso sarà quasi distrutto nel 1938 al fine di ricavare sassi per la costruzione del bacino della centrale. Una volta a settimana Lazzaro Gonnelli dalla Selva andava a portargli il pane.

La Contea allora era molto frequentata dai Selvaioli: chi per legna, chi per il pascolo delle bestie. Il Migliorini era geloso dei suoi campi e a quelli che sconfinavano gliela faceva pagare. Tutti lo temevano.

Una volta le pecore di Cecchino, il figlio di Angelo Zitto, contadino a Poggiopinzo, andarono a far danno nei possessi del Migliorini. Questi prese le pecore e senza tante storie le imbrancò con le proprie, né aveva intenzione di restituirle. Cecchino ricorse all?aiuto di due coetanei, Ottavio e Biacino1. I tre ragazzi accerchiarono a sassate il Migliorini nella sua capanna; lo tennero sotto tiro, finché non restituì le pecore. Il Cecchino e i suoi alleati nel trattato di pace vollero che il Migliorini cedesse anche un campo. La cosa poi non fu messa in pratica, perché... non vi era nulla di scritto, non era un patto tra “grandi”. Passò del tempo. Da diversi giorni il Migliorini non ritirava i rifornimenti dal luogo convenuto e il Gonnelli si preoccupò. Lo cercò e lo trovò nella macchia morto da un bel po?. Vicino c?era il cane che lo vegliava. I soccorritori ammazzarono la bestia, perché dissero che dalla fame l?aveva sfigurato. I più realisti invece precisarono che il danno l?aveva procurato una fucilata. Comunque la cosa non interessò a nessuno, né interessò ad alcuno il povero Migliorini. Sicché il gruppo di soccorso della Selva, che andò a prelevarlo, lo caricò su un cancello preso a barella e lo portò al cimitero di Selvena, il più vicino. Fu sepolto dentro una cassa di quattro tavole. Solo, com?era vissuto, finì, ma dalle nostre parti mai soprannome ebbe memoria tanto duratura, divenendo un toponimo.

Fonte: La mia gente, Cento anni di storia di un popolo di Lidiano Balocchi