Il furto delle paghe



Quel giorno era festa a Selvena. A mezzogiorno parlava il Duce. I fedelissimi si riunirono a sentire la radio. I custodi degli uffici e il cassiere delle miniere del Morone con molta leggerezza lasciarono i soldi sul tavolo e le porte aperte per recarsi al piano superiore. Un signore della Selva - si dice - passava di lì per ritirare la paga, entrò nella stanza aperta e si mise in tasca tutto quel bendiddio.

A Selvena diverse persone ci andarono di mezzo: chi andò in galera, chi tentò il suicidio, finché alla prima mossa sbagliata non fu individuato il pidocchio arricchito. Il ladro infatti non era fuggito, ma aveva atteso. Quando si presentò con il malloppo ad una banca molto lontana, qualcuno era lì ad aspettarlo.

Aggiungo un particolare inedito. Dopo il colpo, di notte, il nostro ladro da Selvena trasferì alla Selva la refurtiva avvolta in un fagotto, che non aveva ancora osato controllare. Attraversò la Contea, finché giunse sopra i Bruciaticci, dove il sentiero scollettava. Lì, al pulito, non poté fare a meno di dare una contata al suo capitale. Aprì il fagotto: uno, due, tre... diecimila, ventimila..., cinquantamila..., centomila..., duecentomila..., duecentoquarantaseimila lire. Fece tanti pacchetti e... l?emozione lo avvinse. “Mi licenzierò subito…” Un rumore... Un uomo o un animale? Raccattò alla svelta la sua ricchezza e ripartì, ma dimenticò l?ultimo pacchetto: le seimila lire.

All?alba di lì passò un signore che portava le bestie al pascolo. Non credeva ai suoi occhi. Pensò ad un dono miracoloso. Mise tutto in tasca. La sua intenzione di acquistare il podere lì vicino veniva approvata dal cielo!

Fonte: La mia gente, Cento anni di storia di un popolo di Lidiano Balocchi