Guglielmo Aldobrandeschi



Figlio di Ildebrandino (VIII), conte di Sovana e Pitigliano, il 22 ott. 1208 fu lasciato erede dal padre, insieme con i fratelli Ildebrandino maggiore, Bonifazio, Tommaso, Gemma, Margherita e Ildebrandino minore: il che fu causa di contese che ebbero termine nell'ottobre del 1216, quando l'A.divise la contea insieme con Ildebrandino maggiore, Ildebrandino minore e Bonifazio, anche per le pressioni esercitate da Orvieto. Il 24 ag. 1224, l'A., anche a nome dei fratelli Bonifazio e Ildebrandino minore (del maggiore non è più fatta menzione tra il 1223 ed il 1224), concluse un trattato con i Senesi, per evitare la distruzione, oltreché delle mura, delle carbonaie e dei fossi, anche delle abitazioni di Grosseto, ribellatasi a Siena.

Sembra, però, che i Senesi ai primi di settembre saccheggiassero ugualmente la città, come risulta dalla Cronaca senese di Paolo di Tommaso Montauri (p. 189), che afferma essere caduta Grosseto in mano ai Senesi "a dì 8 di settembre, el dì di Santa Maria".

Da questo momento l'A. assunse un atteggiamento ostile nei confronti di Siena e nel 1227, lecatosi personalmente nella città, non si sa se per uno strascico delle vicende grossetane o per un avvicinamento aldobrandesco a Firenze, egli fu preso e incarcerato. Liberato per intervento di Gregorio IX, presso il quale gli Aldobrandeschi avevano perorato la causa di Grosseto, l'A., insieme con il fratello Bonifazio, nel 1228 prese parte alla crociata di Federico Il, non desistendo, tuttavia, dalla continua guerriglia con i Senesi, fra alterne vicende e continui interventi del papa, che voleva pacificare il territorio maremmano, come terra della Chiesa. Nonostante il profilarsi di una pacificazione tra Siena e Firenze e la proclamazione della "grandissima pace" del 1235, con la quale il cardinale lacopo "de Pecoraria", vescovo prenestino, si riprometteva di chetare le agitate acque toscane, nel 1236 le ostilità tra Siena e l'A. ripresero a segno che il papa dovette intervenire per far rispettare la tregua stipulata l'anno innanzi.

Motivo del nuovo contrasto era dato dal mancato pagamento del censo cui l'A. era obbligato, sin dal 1221, in segno di larvato vassallaggio verso Siena, alla Biccherna senese: la sospensione del pagamento era dovuta all'intenzione dell'A. di rifarsi dei danni subiti durante il sacco di Grosseto. E sempre da Siena derivarono, in quel periodo, difficoltà all'A., che aveva assunto la tutela del nipote Ildebrandino, figlio di Bonifazio: la vedova di quest' ultimo, infatti, con Ugolino di Bertoldo di Montorgiali e Ildebrandino di Guido Cacciaconti scese in armi contro l'A. nell'aprile del 1236. A seguito di queste azioni di disturbo e per opera - soprattutto - di Buonatacca di lacca Sansedoni, l'A. perse alcuni castelli e gli vennero catturati diversi prigionieri. E la pace, stipulata a Siena il 17 giugno 1237, nella chiesa di S. Cristoforo fu una nuova conferma del trattato del 1221.

Nel 1238 l'A. si riaccostò a rirenze divenendone, probabilmente, cittadino, determinando una nuova invasione di terre e castelli aldobrandeschi da parte dei Senesi. Le difficoltà dell'A., comunque, si accrebbero nel 1240 quando, essendo governatotore e capitano generale per la Toscana Pandolfo di Fasanella, le sue terre, come appartenenti ad uno dei più tenaci fautori del guelfismo toscano, vennero invase e quasi completamente occupate. L'A. si trovò a dover fronteggiare da solo le forze di Federico II, che tra il 1241 ed il 1243 riuscirono a scacciarlo da gran parte dell'Albobrandesca e dalla stessa Sovana.

Nel 1243, tuttavia, l'A., forse a capo di forze papali, riconquistò Viterbo alla Chiesa, risultando uno degli artefici della vittoria arrisa, in quella circostanza, alle forze guelfe. Per tali azioni, l'A. ottenne la riconferma di Montalto ed agevolazioni nel pagamento di alcune enfiteusi. Il 30 apr. 1251 - non essendo rientrato ancora in possesso della contea, retta dai vicari imperiali succeduti a Pandolfo di Fasanella - strinse dei patti con Firenze impegnandosi tra l'altro a cederle, forniti di tutta l'attrezzatura, i porti di Talamone e di Ercole.

Nel maggio successivo, quando Ildebrandino di Santafiora si recò a Siena per accordarsi con la repubblica, che aveva occupato Castiglion d'Orcia e Selvena, e-gli rimase nuovamente solo contro la potente avversaria, avendo il nipote stretto con essa un patto che lo vincolava ad essere nemico dei nemici di Siena. Nel 1251, scoppiata la guerra tra Firenze, Lucca, Orvieto, da una parte, e Siena, Pistoia e Pisa dall'altra, l'A, - che nel 1253 fu capitano del popolo ad Orvieto - si alleò con le prime ed alla pace di Stomennano presso Monteriggioni l'ii giugno. 1254 ebbe restituite da Siena le terre che gli erano state tolte in precedenza sia dai Senesi sia dalle forze imperiali. Probabilmente nello stesso anno 1254 l'A. si spegneva, non risultando più il suo nome in nessun documento dopo quella data. Dante (Purg.,XI, vv. 58-6o) lo ricorda con parole di stima, anche se pronunciate dal figlio Umberto.

Fonti e Bibl.: Ephemerides Urbevetaneae,in Rer. Italic. Script.,2 ediz., XV, 5,acura di L. Fumi, pp. 97-123, passim; Cronaca di Luca di Domenico Manenti, ibid.,p.302; Cronaca senese di autore anonimo della metà dcl sec. XIV, ibid.,2 ediz., XV, 6, a cura di A. Lisini, pp. 39-172, passim; Cronaca senese di Paolo di Tommaso Montauri, ibid., passim;O. Malavolti, Dell'Historia di Siena,Siena 1906, passim; G.Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia,Roma 1935, I, pp. 65-119 C Passim;II, per i documenti ai quali rinviano i passi del I volume; Enciclopedia Italiana,sub voce Aldobrandeschi.

Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960) di Luciana Marchetti