Giro d'orizzonte dal Monte Civitella di Castell'Azzara

di G. Battista Ruffaldi



Trattiamo del monte Civitella, sovrastante Castell’Azzara, che si innalza fino a m. 1.107 s.m. e che è un punto trigonometrico di secondo ordine.
Dobbiamo avvertire che ci interessiamo della vetta più alta, quella che viene chiamata «Civitella vecchio». La punta da cui si domina il paese è denominata impropriamente «Civitella nuovo» e per eliminare equivoci abbiamo proposto di indicare come «VETTA ZARA» in quanto da essa si può osservare il paese, conservando il nome di CIVITELLA soltanto alla vetta più alta. Riteniamo non sia superfluo ricordare che la nostra montagna, veduta nel suo insieme, tratteggia un profilo umano che guarda verso il cielo. Già nel 1921, quando ero studente a Siena, un collega che non conosceva la mia provenienza, osservando il M. Amiata, mi riferì che dietro ad esso vi era un complesso montano che ricordava il profilo del Divino Poeta. (Era il 1921; 6° centenario della morte di Dante).
Orbene se il profilo umano di cui abbiamo scritto, si osserva dalla strada statale Cassia (la Roma - Firenze), dalla posizione di quello che era il centesimo miglio da Roma, (presso a poco a 12-15 Km. da Acquapendente verso Siena), aiutati da un pò di fantasia, si scorge, con molta approssimazione, il profilo di Dante Alighieri. Ecco la ragione per cui la nostra montagna, da alcuni, fu denominata « Monte di Dante »; e noi ne siamo fieri.
Nell'illustrare il giro d’orizzonte, spesso si descrive la zona più lontana, cioè proprio all’orizzonte, poi si torna indietro per descrivere, sullo stesso allineamento, le zone più prossime e successivamente, si trattano le intermedie.
Pertanto il lettore ci segua con un pò di pazienza ed una certa attenzione; tanto meglio se potrà assumere qualche dettaglio da chi è pratico della zona. Può essere avvenuto che sia stata omessa qualche località degna di menzione, e ne chiediamo venia a coloro che si recano sulla nostra bella montagna per osservare I’ esteso, superbo e magnifico panorama.  Si sale al M. Civìtella dalle «Vallicelle» per un viottolo derivante, sulla destra, dalla vecchia strada per il Cornacchino, seguendo una strada percorsa, in parte, anche da autocarri che asportano la « breccia » naturale dalla parte anteriore del monte che rimane così « sventrato ».
Alla recinzione con filo spinato, superato il cancello, siamo già in pieno bosco.
Si lascia, sulla destra, il «Poggio delle Forche» tutta roccia, quindi privo di piante, e si prosegue per un sentiero segnato da file di pietre mobili, a suo tempo tracciato dall’autore del rimboschimento, ex guardia forestale G. B. Zodiaco detto «Barbino». Osservate la maestosità del bosco ove 50 anni indietro vi era soltanto un magro pascolo e qualche cespuglio spinoso!
Precisiamo che non ci tratterremo a descrivere la località che citiamo. Ne daremo talvolta un solo cenno, altrimenti dovremmo fare un trattato di storia e geografia che decampa da quanto ci proponiamo.  Per osservare proficuamente i! giro d’ orizzonte è necessario scegliere una giornata serena, senza nebbie in valle, non brumosa (caliginosa). Se siamo sulla montagna di buon mattino cominceremo ad orientarci da dove è più facile la visibilità, in relazione alla posizione del sole. Inizieremo con l'osservare la rocca di Montevitozzo (Roccaccia) per procedere sulla destra di chi guarda, cioè nel senso delle lancette dell'orologio.
La vetta della roccaccia di Montevitozzo, già marchesato, è coronata dai resti di due costruzioni i cui muri sono ancora di una resistenza incredibile, come abbiamo constatato di persona, e ciò nonostante le vicissitudini dei secoli
e delle stagioni. Subito sulla destra, un pò più distante, si scorge la vetta del Monte Elmo (m. 829) che domina la borgata dello stesso nome nel versante opposto.
In distanza, in basso, scorgiamo appena alcune costruzioni del paese di Sorano il cui nucleo vecchio non si vede perchè ubicato in una vallecola. Sarebbe interessante la visita ad un razionale caseificio, ed al tratto di strada che scende verso il fiume « Lente », notevole per la sua arditezza ed i suoi ritorni « tourniqués », A maggior distanza si scorge Pitigliano, forse derivato dalla più antica Sovana patria di Gregorio VII. A Pitigliano, dal paesaggio geologicamente tormentato, potreste gustare, se genuino, un ottimo vino bianco da pasto, armonico e gustoso a denominazione di origine controllata (D. O. C.).
Più distante, a destra, in collina, si staglia Mandano, il paese che domina la Maremma toscana. « Mandano dalla bella insegna, covo di ladri e spia della Maremma » forse con allusione all’antico brigantaggio (Tiburzi, Ansuini,n Menichetti,ecc. Fra Pitigliano e Manciano scorre il fiume Fiora, la cui sorgente si trova nel caseggiato di Santafiora (vedi oltre).

La sua bella vallata, di cui vediamo meglio la riva destra, è disseminata da un complesso di aziende agricole che  costituiscono «Cortevecchia»; mentre, San Martino sul Fiora è il centro più importante della vallata.
In distanza, sempre fra Pitigliano e Manciano, scorgiamo tre monticelli (M. Bellino, Montetì e M. CavaHo), che però non ostacolano a veduta del mar Tirreno. Alcuni riferiscono di aver scorto, dal Civitella, l'Isola d’ Elba (caso mai l’isola del Giglio, non d’ Elba), ma forse si tratta del Monte Argentario oltre lo stagno di Orbetello, sede di monaci passionisti. Seguendo successivamente la val di Fiora, ci rimane appena nascosto Semproniano (già Samprugnano), mentre si scorge benissimo la Ripa di Cellena (m. 881). A destra, più vicino, il M. Calvo (m. 932) che domina «la Selva» dì Santafiora, borgata ed antico convento di francescani.
Più distante, nella stessa direzione, svetta la cuspide del m. Labbro o Labro (m. 1.162) che ricorda le gesta di David Lazzeretti, che ad Arcidosso svolse la sua attività di esaltato, profeta, visionario ed eremita. Arringava la folla preparandola all’avvento del regno dello Spirito Santo. Fu condannato per la sua eresia ed ucciso, si dice, da un bersagliere con una pallottola in fronte il 18 - 8 - 1878. Continuando la nostra rassegna, sempre sulla destra, da l’Aiole, ammiriamo il castagneto e la faggeta che disgradano verso Santafiora, toccando la frazione di Bagnore ricca di putizze solfuree e di perforazioni per ricerche di energie endogene. Ed ecco Santafiora, l’antico capoluogo del comune di Castell’Azzara. E ricordata da Dante nel VI° del purgatorio verso 111. « E vedrai Santafior come si cura », o, « com’è sicura », o, « com’è è oscura ». Nell’interno dell’abitato, alla Peschiera, vi è la sorgente del fiume «Fiora» attualmente captata per fornire di buona acqua potabile gran parte della Maremma sitibonda. Un tempo alla Peschiera, in un bel parco, si pescavano bellissime trote iridate, mentre ora vi è quasi il deserto.
Assai vicino a noi notiamo Selvena, frazione di Castell'Azzara con le sue diverse borgate: Chiesa, Borghetto, Belvedere, Montonari, poggio Montone, ecc.
Le caratteristiche peculiari della popolazione di Selvena sono diverse da quelle del capoluogo e lo stesso dialetto offre una cantilena finale che manca nei nostri paesani. Non sfugga all’osservazione la rocca degli Aldobrandeschi (la Roccaccia) un tempo, forse, edificio-fortezza di notevole importanza; oggi ridotta ad un rudere da cui si può dedurre l’antico splendore.
Un cenno sommario alle miniere cinabrifere del Morone, presso Selvena e le altre del Siele e delle Solforate. Vi erano miniere anche al Cornacchino ove è stata spesa tanta energia e tanta salute dei nostri avi. Quando la miniera era efficiente, il lavoro era antiigienico ed era diffusissima la silicosi (cornacchinite) strada aperta alla tubercolosi.
Ai nostri avi, veri martiri dal lavoro, allora mal retribuito, vada il nostro pensiero riverente. Mentre i sole volge verso i! sud, a noi conviene voigerci al nord.
Abbiamo, come suoi drsi, a due passi il Monte Penna (rn. 1078) magnifica roccia che, quasi isolata, si lascia ammirare con piacere per la sua bellezza e la sua maestosità, anche se lievernene più basso del Civitelia. Vi si accede sempre dalla vecchia strada per il Cornacchino, ma a monte delle Vallicee cioè dal Maialotto, lasciando sulla destra il monte Nebbiaio sulla qual vetta è stato costruito un edificio per ponte - radio.
La strada, con un pò di buona volontà, è praticata dalle automobili e per essa, salito il Penna, si può discendere fino al Rigo ove trovasi un ristorante caratteristico nel quale si possono gustare le specialità locali e trote appena pescate. Dietro il Penna vi è il M. Ferruzzo o Ferruccio. Sul Penna quasi a quota 1.000 vi sono due sorgentelle, modeste a causa della loro ubicazione, ma perenni, di ottima e freschissima acqua da bere.
Più in basso troviamo altre due sorgenti: dei Trocchi e, quasi di fronte, quella delle Fossatelie, ma questa ai piedi del Civitella. Ambedue hanno acqua alla temperatura di appena 8°-9° gradi, nelle quali sorgenti non consigliamo di porre in fresco una bottiglia se prima non si è preparata con qualche accorta abluzione per ambientarla. Si corre il rischio dì veder schiantare vetro e perdere il contenuto. Va bene che l'acqua è eccellente, fresca, leggera, diuretica passante, . . . ma è pur sempre acqua.
Superbo, a distanza, si erge l'ammasso trachitico del Monte Amiata (m. 1.737) coperto di castagni fin verso i 900-1.000 metri, e di faggi fino alla vetta.
Sul culmine vi è issata una croce di ferro già opera dello Zalaffi di Siena e portata in vetta, nel 1911, pezzo per pezzo, dai fedeli dei paesi vicini, a titolo di voto, in omaggio alla salita di Gesù Cristo sul m. Calvario.
La furia teutonica dell'ultima guerra (1940-45), abbattè ed asportò la croce che è stata ricostruita identica alla prima. Non ne vediamo le braccia perché sono disposte nel senso della nostra visuale, ma sono ben visibili da Abbadia S. Salvatore. Da Casteldelpiano hanno posta su un masso della vetta una Madonnina di marmo, mentre, qua e là, vi sono distribuiti una notevole quantità di apparati per ponti - radio, telefonici, ecc.
Fino alla vetta si giunge per una strada asfaltata da Abbadia, l’Aiole, Arcidosso e Casteldelpiano. Attualmente da Abbadia, oltre alla strada, e più in alto rispetto al paese, dipartono seggiovie per raggiungere la vetta da cui inizia il campo di ski o sci. Un giro d’orizzonte superbo, con la vista di Siena ed oltre, consigliano una gita sulla vetta dell’Amiata. Dai fianchi della montagna scaturiscono numerose, e spesso abbondanti, sorgenti di ottima acqua potabile che alimentano i paesi vicini ed anche Siena, Grosseto e la Maremma.
Da Santafiora, risalendo con lo sguardo sulla destra, si scorgono tra i castagni Marroneto, Bagnolo, Saragiolo, e discendendo, Pietralunga, le Tre case, e più lontano il globoso Poggio Zoccolino che sovrasta le terme di S. Filippo, fonti di pregiate acque termali contro varie malattie reumatiche ed artritiche.
Nel fianco sud del Monte Amiata, proprio al limite del castagneto, si intravede Abbadìa S. Salvatore, notevole centro  minerario cinabrifero e stazione climatica estiva ed invernale.  Poco davanti vi è Piancastagnaio, sempre preceduto da un pennacchio di vapori di provenienza endogena utilizzati a scopo energetico per la loro pressione.
Nel passo tra l'Amiata e la roccia di Radicofani si può spingere lo sguardo in parte della vai d’ Orcia, verso Castiglione ed il cuore della provincia di Siena. L’ammasso calcareo di Radicofani si erge al disopra delle argille (crete senesi), indice di una formazione geologica di più antica era. La torre, in cima, ci ricorda le testa di Ghino di Tacco famoso taglieggiatore dei romei. Davanti al monte vi è il paese di Radicofani che ha perduta molta della sua importanza a causa delle nuove arterie stradali, assai più comode, che non salgono fin lassù come un tempo. Sulla destra, più vicino, si nota Celle sul Rigo dagli ottimi e robusti vini delle vigne su terreno argilloso, e quindi San Cascian de’ Bagni, le cui acque termali sono meno pregiate di quelle di San Filippo già ricordate. Prima però il nostro sguardo non può non aver colto la vetta di un’altra montagna; il m. Cetona (m. 1.148) appena più alto del Civitella in cui ci troviamo, anch’esso coronato di una modesta Croce di Ferro.
Lasciate le falde di destra del Cetona si scorge, più in basso la pendice della valle dei Paglia, ove son disseminate borgate non sempre visibili per la loro distanza come per la loro modestia. Con un discreto binocolo si scorge il
M. Peglia (m. 832), ove sono ubicate le antenne ripetitrici televisive che hanno fornite le prime immagini a Castell’Azzara. Prima che lo sguardo si posi sul Terminillo, sulla sua sinistra si scorge un conetto più basso anche perchè e più distante. E il monte Boragine (m. 1.829) che domina Cittareale (Rieti) e che si staglia assai bene sull’orizzonte, in particolare quando è coperto di neve. Il m. Terminillo, maestoso con i suoi 2.213 metri di quota sovrasta la Valle Santa del reatino, ricca di ricordi francescani. È una delle montagne più alte e più belle dell’Appennino centrale che noi scorgiamo, ed è coperto di boschi di faggio fino alla vetta. Vi si trova una stazione agraria riconoscere la flora montana.
Sempre in distanza, sulla destra, ma più prossimo, vediamo il m. Cimino (m. 1.053) ai cui piedi si stende la città di Viterbo, capoluogo della provincia più settentrionale del Lazio. Degne di nota la città medievale, il palazzo dei papi e piano scarano. L’orizzonte si abbassa un tantino e diviene piatto o quasi fino a giungere ad un’altra modesta vetta. È il m. Venere (m. 838) ai cui piedi, nel versante opposto, si stende un lago di origine vulcanica: il lago di Vico.
Lasciamo, per un momento, la visione all'orizzonte per rimanere nella zona più vicina. Dopo San Cascian de’ Bagni, arroccato su uno sperone, scorgiamo il borgo di Trevinano mentre più vicino, in basso, in parte nel nostro comune,
notiamo una bella vallata la Valle Calda ed al limite destro una notevole costruzione: la villa degli Sforza detta appunto Sforzesca. Era un magnifico palazzo di stile rinascimentale anche se costruito nel 1576. Ora è del tutto abbandonato ed uno spregiudicato ignorante l'ha ulteriormente deturpato abbattendone il coronamento per una certa altezza.
A destra, ed un pò distante, notiamo la chiesa di San Giovanni delle Contee dietro la quale si stende il paesino, ed ancora a destra, quasi tra gli alberi, si scorge la fattoria di Montorio, già importante per le sue tre fiere annuali di merci e bestiame. Poco distante scorgiamo Castell’Ottieri col suo antico maniero ed ancor più vicino Montevitozzo, con le sue varie borgate, sito in comune dì Sorano, ma che gravita assai più su Castell’Azzara per la sua vicinanza.
In alto, a destra, domina la Roccaccia da cui abbiamo iniziato il nostro giro di orizzonte.
Nella zona intermedia fra San Giovanni delle Contee e l'orizzonte si stende Proceno (nel Lazio) con un residuo castello (restaurato, anzi integrato), che si vorrebbe far derivare da Porsenna ma che invece, come si vede da un vecchio stemma, deriva da porceno e per metatesi divenuto Proceno. Tale derivazione non disonora certo il paese; se del caso dimostra il suo progresso.
Poco a destra, a lieve distanza, si scorge un «roccolo» di lecci, e poco oltre una torre con un grande orologio ed alcune modeste costruzioni. E la torre dell’orologione, o torre del Barbarossa, che domina Acquapendente. La città si trova ubicata in una vallecola tra il roccolo e la torre per essere stata fondata presso due sorgenti ora in mezzo alla città, ma inquinate. E ancora l’Amiata che disseta gli aquesiani. Un tempo la città aveva una certa importanza quale centro attraversato dalla statale cassia (Firenze - Roma) ma l’apertura di nuove strade (autostrada), ha diminuita la sua importanza. Acquapendente con le sue fiere mensili ed il mercato settimanale, in particolare per la fiera dei campanelli, (la domenica successiva alla Pasqua), richiamava gente da tutti i paesi vicini (l'interland) della Toscana, Lazio ed Umbria, quale centro commerciale di maggior importanza.
Dietro ad Acquapendente, ma lievemente a sinistra, si scorge Torre Alfina con suo pianoro retrostante. Il paesino che potrebbe sfuggire alla vista, è dominato da un maestoso e magnifico castello ferrigno che si staglia sull’orizzonte.
Le sue finestre, in determinati periodi, inviano i loro bagliori speculari fino a Casteli’Azzara, distante oltre 12 Km. in linea d’aria.
Sulla destra, prima del lago di Bolsena, si stende l'ammasso tufaceo di Onano che se gode di una certa popolarità lo deve alle sue pregiate lenticchie che quasi dominano il mercato dei legumi secchi di Roma. Il nome del paese si legge nei due sensi. Ed ecco che la vista riposa sul magnifico lago di Bolsena con le sue due isole, Martana e Bisentina, nella quale ultima fu relegata ed assassinata, nel 535, Amalasunta regina dei goti.
Il lago è veramente meraviglioso, ed essendo di origine vulcanica è privo di immissari. E alimentato soltanto dai torrentelli del relativo modesto bacino imbrifero lacuale, ed in modo notevole da sorgenti di portata ragguardevole interne al lago, dando così origine ad un emissario di discreta importanza che sfocia direttamente in mare (Tirreno) presso Tarquinia (l’antico Corneto). Non è circondato da località amene e lussuose come i laghi alpini, ma offre una recettività confortevole a Bolsena e nei paesi che lo circondano.
Ha pescosità di ottimo pesce, come le celebri anguille citate da Dante (Purg. c. 24 v. 24) e certo di miglior qualità di quelle di Comacchio. Oltre a ciò vi sono il coregone  e magnifiche tinche e lucci. Durante il marzo ed il settembre si specchiano nel lago al loro sorgere, il sole e la luna. Quest’ultima in particolare con i suoi riflessi eburnei (di avorio), offre uno spettacolo suggestivo. Tutto intorno al lago sono disseminati alcuni paesi che non si scorgono perché si trovano nella «conca» e sulla riva. Bolsena, che ha dato il nome al lago, è celebre anche per il famoso miracolo per cui fu istituita la festa del Corpus Domini e fu costruito il superbo duomo di Orvieto per la custodia del Corporale. Tale duomo è degno di esser visitato per la sua magnificenza, i superbi mosaici e gli stupendi bassorilievi.
Oltre il lago, prima di Viterbo, si vede in parte Montefiascone. La città è particolarmente nota per i suoi vini, in particolare per « l'Est, est, est » ed anche per « l' aleatico » proveniente da Gradoli e località vicine.
Sulla destra domina ancora Valentano ai piedi della Croce degli Starnini con la sua roccia rossa per il notevole contenuto di ferro al massimo di ossidazione.
Abbiamo terminato il giro d’ orizzonte dal M. Civitella e chiediamo venia qualora ci fosse uscita di vista qualche località, anche di importanza non trascurabile. Non abbiamo ricordata Castell’Azzara che ci ospita. Recatevi sulla «Vetta Zara» ed osservate questo paese che si stende sui fianchi della montagna con al limite una superba pineta. Guardatelo questo paesino, un tempo isolato dal mondo e che oggi è discretamente servito da mezzi pubblici.
« Ultimo paese che Dio creare » lo definì un ingegnere minerario cecoslovacco 60 anni indietro; ma oggi non è più tale. Lo stesso ingegnere lo abbiamo salutato, non molti anni fa, a Castell’Azzara ove trascorreva parte delle sue vacanze. Nell’ultimo cinquantennio Castell’Azzara ha fatto progressi notevoli.
È fornito di buone strade e vi offre gentile ospitalità in un confortevole albergo; ha ristoranti caratteristici con specialità locali e vi consente di gustare ottime trote in un’amena località «Il Rigo » poco distante dal paese.
Un vecchio castellazzarese, ormai ultrasettantenne, da 40 anni assente per ragioni di lavoro, lo ha veduto rinascere. Egli stesso, a suo tempo, vi contribuì con la sua modesta opera di professionista, in particolare per la piantagione della «pineta».
Oggi, quasi dopo mezzo secolo di assenza, lo ricorda con commosso affetto e vi offre questa modesta guida dalla vetta della sua montagna.


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