La Rocca Silvana



Rocca Silvana si raggiunge seguendo le indicazioni per Santa Fiora o per Castell’Azzara, centri posti sulle pendici meridionali del Monte Amiata, o da Sorano. Da Castell'Azzara ci dirigiamo verso Santa Fiora per circa 6 km e, quindi, imbocchiamo sulla sinistra la SP. 34 per Selvena. Da Santa Fiora si segue la strada per Selva sino al già menzionato bivio verso la S.P. 34, che si imbocca sulla destra per Selvena. In entrambi i casi, raggiunto il centro abitato, lo si oltrepassa proseguendo in direzione Elmo-Sorano e, dopo circa 2 km, incontriamo sulla destra una strada bianca che conduce a Rocca Silvana e che è provvista dell’omonima indicazione turistica. Da Sorano si seguono le indicazioni per Santa Fiora, percorrendo la SP. 34 sino a incontrare, poco prima dell’abitato di Selvena e sulla sinistra, il segnalato bivio per la Rocca.

Rocca Silvana sorge su un’altura posta a 934 m s.l.m., situata in un gruppo di rilievi circostanti la valle del Fiora, posti immediatamente a sud del massiccio amiatino e costituenti le ultime propaggini dell’antiappennino nella Toscana Meridionale. Il Monte Amiata (1738 m s.l.m.), di origine vulcanica, è formato da rocce eruttive che, come spugne, generano abbondanti sorgenti di acqua di grande purezza, mentre le sue pendici sono ricoperte da uno splendido manto di foreste, ricco di faggi, abeti, aceri, cerri e lecci e, soprattutto, caratterizzato da due rarissime stazioni di abete bianco primigenio.

Nel territorio di Selvena i medesimi fenomeni eruttivi che contrassegnano la morfologia del territorio amiatino sono stati all’origine della presenza di importanti risorse minerarie, la più peculiare delle quali è rappresentata dal mercurio.

La storia medievale e moderna del comprensorio di Rocca Silvana, infatti, è stata caratterizzata dalla nascita e dallo sviluppo di forti poteri signorili che ebbero un ruolo fondamentale nell'organizzazione dello sfruttamento dei vicini giacimenti di mercurio e, in età contemporanea, le stesse miniere hanno addirittura coperto gran parte della produzione mondiale complessiva.

Il castello di Selvena domina il massiccio del Monte Civitella, le cui pendici accolgono il più consistente giacimento europeo di cinabro e dove si rinvengono in abbondanza e con facilità anche minerali utili alla produzione di antimonio e vetriolo. Analogamente ad altri comprensori itinerari toscani, è presumibile che nella tarda età longobarda e nella prima età carolingia anche presso Selvena venissero esercitate attività minerarie nell’ambito di una economia di villaggio e sotto il controllo di ufficiali pubblici, ma un nesso strutturale tra insediamento e coltivazione mineraria si attuò con certezza solo con l’incastellamento del sito, realizzatosi nel corso del X secolo. La possibilità di sfruttare le risorse minerarie, e in particolare quelle mercurifere, fu alla base dell’importanza assunta dai castello per gli Aldobrandeschi e giustifica anche lo straordinario sviluppo del castello e dei suoi borghi tra XII e XIII secolo. Infatti, le “argenti fodine” di Selvena, menzionate nei documenti che attestano i diritti della casata, erano costituite da escavazioni di “argento vivo” vale a dire di mercurio.

Il principale interesse storiografico che muove le indagini sul castello di Selvena è rappresentato dalla possibilità di studiare il rapporto tra l’insediamento e le modalità di sfruttamento delle risorse minerarie locali. In questa direzione si è mossa la ricerca, che ha previsto lo scavo, gli studi sulla documentazione scritta e le indagini di topografia archeologica. Tra il 1997 e il 2000 nell’area sommitale sono stati effettuati gli interventi di scavo e di analisi degli edifici, alcuni dei quali, tra l’altro, sono stati contestualmente oggetto di interventi di restauro da parte della competente Soprintendenza. In particolare l’indagine è stata concentrata ai lati e di fronte al grande palazzo signorile, con alcuni saggi in prossimità e all’interno della torre pentagonale.

L’età carolingia

I più antichi documenti che menzionano un villaggio chiamato Selvena risalgono all’età carolingia (IX secolo), quando emerge un forte controllo statale sullo sfruttamento delle risorse locali, dal momento che in quest’area erano presenti beni appartenenti sia al fisco regio sia alla famiglia del conte di Sovana. All’epoca, infatti, l’area di Selvena, posta in prossimità del confine con il territorio di Chiusi, dipendeva dalla città di Sovana, al cui vescovo fu sempre subordinata sul piano dell’organizzazione religiosa. I documenti in questione provengono dall’antico archivio del monastero di San Salvatore al Monte Amiata (Abbadia San Salvatore), dal quale dipendevano le terre e gli uomini stanziati presso Selvena: da essi emerge che con il nome “Silbina”, definito casale o vico, si indicavano un villaggio e il territorio a esso pertinente, che forse già insisteva nel sito poi occupato dal castello.

Del resto, dalle ricerche archeologiche condotte tra il luglio e il settembre 2000 è emerso che sulla sommità dell’altura di rocca Silvana esistevano strutture abitative realizzate in pietra e legno, forse anteriori alle fasi romaniche dell’insediamento fortificato, sebbene per la loro esatta collocazione cronologica si debba attendere la prosecuzione degli scavi.

Il castello di Selvena

Lo sviluppo del castello di Selvena è strettamente legato all’azione di ridefinizione dei poteri su base signorile promossa in territorio amiatino dai conti Aldobrandeschi nel corso dell’XI secolo. Questa grande casata comitale occupò per secoli i vertici del potere pubblid nella Toscana meridionale e già prima della fine del X secolo aveva cinto l’Amiata di una corona di castelli. Un documento dell’XI secolo (il più antico che menzioni il castello di Selvena), dimostra che l’erezione di fortificazioni su impulso degli Aldobrandeschi fu accompagnata da un clima di violenze e sopraffazioni, di cui fecero le spese anche gli altri grandi signori che disponevano di terre e uomini nella regione, primo tra tutti l’abate del potente monastero imperiale di San Salvatore al Montamiata, che lamentò abusi e minacce nei confronti dei suoi dipendenti locali.

In questo contesto, fra l’XI e la prima metà del XII secolo, nel sito di Rocca Silvana furono edificate due piccole torri poste nella zona più alta del pianoro sommitale, l’una a est e l’altra a ovest del palazzo, che si appoggia in parte alle strutture della seconda. E possibile che le due torri, costruite con grossi conci di calcare locale, fossero collegate da un originaria cinta muraria in pietra o in legno, che definiva in tal modo una prima area fortificata sommitale, come sembrano indicare i primi risultati dello scavo nell’area antistante il palazzo.

Il dominio degli Aldobrandeschi

Solo per gli inizi del Duecento emerge con chiarezza che il castello era assai popoloso ed economicamente fondo, tanto da giustificare una estensione dei suoi borghi pari a quella che conosciamo oggi (una superficie di due ettari circa).

Questa straordinaria crescita del villaggio si realizzò nel corso del XII secolo, quando sulle pendici amiatine si produssero generalizzati fenomeni di concentrazione del popolamento a favore di alcuni centri castrensi contrassegnati da una economia specializzata e da una forte presenza di attività manifatturiere, spesso connesse allo sfruttamento minerario. Proprio a partire dalla fine del XII secolo, inoltre, si riscontra un incremento della domanda europea di mercurio, dovuto alla crescita dei consumi legati agli usi più tradizionali (tintoria, metallurgia) e alla diffusione nell’occidente cristiano di pratiche alchemiche e mediche che ne fecero largo impiego.

Nella documentazione del primo Duecento emerge il rilevante peso economico e strategico attribuito dagli Aldobrandeschi al castello di Selvena, tanto che nel testamento dettato nel 1208 da Ildebrandino VIII un legato di ben 1000 marche di argento a favore della moglie Adelasia fu garantito impegnando i redditi di Selvena, che nell’arco di un tempo limitato si prevedevano addirittura eccedenti rispetto a tale cifra.

Contestualmente, sul piano delle ricerche archeologiche è emerso che tra la seconda metà del XII secolo e i primi decenni di quello successivo si realizzarono radicali mutamenti urbanistici nel castello, perlomeno per quanto concerne la sua porzione sommitale.

Adiacente alla torre posta a ovest fu costruito un edificio con il perimetro corrispondente a quello dell’attuale palazzo. Il passaggio tra i due ambienti fu consentito dall’apertura di una piccola porta nel lato est della stessa torre. E probabile invece che lo spazio compreso tra questa struttura abitativa e la torre posta a est fosse occupato da un cortile aperto, entro il quale venne poi realizzata una cisterna.

Sempre in questo periodo avvenne la costruzione di una cinta muraria destinata a chiudere il resto del pianoro sommitale, di cui rimane un consistente tratto inglobato nel lato est dell’attuale cinta.

L’occupazione imperiale

Le opportunità economiche offerte dal controllo sui giacimenti di mercurio attirarono su Selvena le mire espansionistiche dei principali soggetti operanti nell’area nella prima metà del Duecento.

Il Comune di Orvieto, perseguendo il disegno di affermare il proprio dominio politico su alcune signorie aldobrandesche che gli erano state sottoposte già nel 1216, conseguì il 28 novembre 1223 il diretto controllo del castello di Selvena; successivamente il castello tornò nelle mani degli Aldobrandeschi, come sembra indicare una epigrafe del 1238 relativa alla costruzione di una chiesa presso il castello per iniziativa della contessa palatina Tommasa Aldobrandeschi.

Pochi anni dopo, però Selvena, come altri castelli della Toscana centro-meridionale posti a controllo delle principali risorse minerarie argentifere, fu oggetto delle vigorose rivendicazioni a favore del fisco imperiale operate da Federico II e dai suoi vicari. Dopo che l’imperatore ebbe dichiarato gli Aldobrandeschi rei di fellonia nei suoi confronti ed ebbe confiscato formalmente i loro castelli, Selvena venne assediata dalle truppe guidate dal vicario imperiale Pandolfo di Fasanella (1241), cui seguì una decennale occupazione del castello da parte dei funzionari di Federico II.

A questo periodo è possibile ascrivere la costruzione della grande torre poligonale, che ancora conserva gran parte della sua originaria imponenza:

la struttura, edificata probabilmente a rinforzo del precedente circuito murario e successivamente inglobata nel nuovo, rappresenta un episodio costruttivo a sé nel complesso monumentale. La particolare forma dell’edificio e la tecnica muraria con rifinitura dei conci in pietra a bugnato non trovano, infatti, confronti con le altre strutture presenti nel castello e, perciò, sembra frutto dell’opera di maestranze specializzate provenienti dall'esterno.

La contea di Santa Fiora

Dopo la morte di Federico II, Selvena tornò a essere contesa tra i principali soggetti politici operanti nell’area: allo schieramento guelfo appartenevano il Comune di Orvieto e conti di Sovana — uno dei due rami in cui si erano suddivisi gli Aldobrandeschi — mentre aderivano alle forze imperiali il Comune di Siena e i conti di Santa Fiora, l'altro ramo della famiglia comitale.

Nel frangente, il controllo su Selvena venne conseguito dal Comune di Siena, che nel maggio 1251 lo conferì a Ildebrandino XI di Santa Fiora, nelle cui mani rimase per secoli, nonostante le rivendicazioni dei conti di Sovana. In un accordo raggiunto nel 1274 tra i due lignaggi, si ha notizia che il castello di Selvena era compreso tra i dodici centri più importanti del patrimonio familiare e che la rilevanza economica delle miniere di mercurio condusse a particolari pattuizioni in ordine alloro sfruttamento.

Tra la fine del Duecento i primi anni del Trecento il castello divenne sede privilegiata per il ramo dei conti di Santa Fiora. A questo periodo risalgono, infatti, alcuni interventi urbanistici documentati archeologicamente nell’area sommitale, volti alla realizzazione di un palazzo signorile di rappresentanza, che doveva costituire una residenza stabile per gli esponenti del lignaggio.

Il precedente edificio a un solo piano venne in parte ricostruito e dotato di un secondo livello, assumendo le forme dell’attuale palazzo, e fu riorganizzato anche il cortile adiacente, mediante la costruzione di nuove strutture e la realizzazione di una grande porta di accesso delle medesime dimensioni di quella che permetteva l’entrata al piano terreno dell’immobile.

Intorno alla residenza signorile furono costruiti nuovi edifici in pietra e la cinta, in particolare sul lato sud, subì un consistente ampliamento, definendo in tal modo il percorso del circuito murario oggi visibile.

Lo spazio politico senese

A partire dagli anni Trenta del XIV secolo si consumò il definitivo inserimento di Selvena e della contea di Santa Fiora nell’ambito dello spazio politico senese.

Nel 1339 i conti Jacopo e Pietro sottomisero Selvena al Comune di Siena e, pochi anni dopo, lo stesso Jacopo dettò il proprio testamento assegnando al Comune di Siena i diritti vantati su Selvena. Nel 1344, infine, il conte Pietro vendette al fratello per diecimila formi d’oro la metà del castello e della rocca di Selvena, e tale atto venne ratificato dal giuramento di 97 abitanti del centro, riuniti nella chiesa pievana di San Nicola.

Nonostante l’azione del conte Jacopo fosse volta all’inserimento del castello sotto il dominio del Comune di Siena, quest’ultimo non riuscì a conseguire un diretto controllo sul centro: si aprì, invece, un periodo di scontri militari che vide tra i contendenti, oltre allo stesso Comune di Siena e ai conti di Santa Fiora, anche gli Orsini conti di Sovana e la turbolenta famiglia signorile dei Baschi di Montemerano, acerrima nemica di questi ultimi.

In tale contesto gli interventi costruttivi realizzati nella rocca di Selvena furono limitati a modesti restauri e piccole modifiche nelle strutture del palazzo, consistenti nella ricostruzione del solaio e della copertura e nell’apertura di una nuova porta di accesso sul lato occidentale. Furono effettuati, invece, consistenti interventi nella cinta muraria sommitale, che portarono in alcuni casi al totale rifacimento di interi tratti del circuito difensivo, relativi in particolare alla parte nord-est.

Solo a partire dall’inizio del Quattrocento, quando il castello appariva in forte crisi, Selvena rimase parte integrante della contea di Santa Fiora, il cui dominio alla metà del XV secolo passò per via matrimoniale dagli Aldobrandeschi di Santa Fiora agli Sforza.

L'ultima stagione militare che coinvolse la rocca di Selvena è rappresentata dalla Guerra di Siena, che coinvolse tutta la Toscana meridionale, ivi compresa la contea di Santa Fiora. Secondo una fonte cronistica, ancora nel 1597 Selvena si presentava come una “rocca fortissima” utilizzata temporaneamente come prigione e questa sua caratteristica non rese necessari interventi consistenti alle strutture difensive nel corso del Cinquecento, sebbene la fortificazione continuasse a rivestire il ruolo di caposaldo militare.

Sono stati, invece, riconosciuti gli interventi costruttivi attuati nel corso del XVII secolo, quando, persa la funzione militare, gli edifici della rocca furono trasformati in case contadine e persino il palazzo signorile venne suddiviso in tre piccoli ambienti dotati di una propria entrata; in questo contesto l’area antistante venne ripavimentata e dotata di una pedana per consentire l’accesso ai carri, mentre altri piccoli interventi di restauro o di rialzamento delle strutture interessarono gli altri edifici minori.

La rocca di Selvena è uno dei pochi castelli toscani abbandonati, i cui resti monumentali si presentano ancora in ottimo stato di conservazione.

La sommità su cui sorge la grande area signorile è di forma allungata, vagamente trapezoidale, e misura circa 110 x 50 m. Le sue pareti sono per lo più molto scoscese e perciò non fu avvertita la necessità di provvedere a imponenti opere di fortificazione, a eccezione del punto di accesso, dove fu realizzata un’alta torre pentagonale posta sul margine est della rocca. Al centro dell’area sommitale è collocato un imponente edificio rettangolare a due piani, interpretato come residenza signorile. Adagiati sui versanti sud-occidentale e nord-orientale, a una quota molto più bassa, si estendono due borghi.

La strada bianca che percorriamo a piedi attraversa la cinta esterna del borgo nord-orientale, dal quale prede avvio la visita.

La cinta rimane quasi irriconoscibile per la sua scarsa elevazione, ma consente un agevole accesso alla chiesa pievana del borgo, di cui si conservano ancora alte le mura perimetrali, poiché il luogo di culto fu trasferito nell’attuale abitato di Selvena solo alla fine del Settecento e si provvedette alla sua manutenzione sino agli inizi del Novecento.

Proseguendo in avanti, ci troviamo di fronte all’alta torre poligonale, che si innalza al limite dello sperone roccioso ove si trova la rocca. Oltrepassata questa struttura possiamo scegliere se scendere sulla sinistra a visitare i resti del borgo sud-occidentale immersi nella fitta boscaglia, che si estendono per il ripido declivio fin quasi al fondovalle, o se salire attraverso un’agevole rampa all’interno dell’area signorile (al momento in cui scriviamo l’accesso al pubblico è temporaneamente interdetto per la presenza del cantiere di restauro).

In questa seconda ipotesi, entrati dalla porta di accesso orientale possiamo ammirare sulla destra il lato maggiore della torre pentagonale, edificata probabilmente nell’età di Federico II e caratterizzata da una muratura con significative inserzioni di bugnato.

Voltando a sinistra e utilizzando i resti della viabilità originaria, raggiungiamo l’area del palazzo signorile. Sulla destra si trovano i resti basamentali di una delle due torri più antiche (fine XI-inizi XII secolo), alla quale in un periodo successivo venne addossata la cisterna A, ancora ben conservata e oltre la quale si apriva l’originario cortile del cassero. Saliti in questo ulteriore spazio, ci portiamo sul ciglio del muro settentrionale per osservare i monumentali ruderi degli ambienti realizzati a ridosso della cinta sommitale.

Sulla nostra destra è situato l’ingresso di una presunta cappella, alla quale sì accede mediante due gradini in pietra; questa struttura, di cui lo scavo ha evidenziato l’antica pavimentazione era coperta in età moderna da un’alta volta laterizia a botte; secondo un’ipotesi alternativa, invece, questo ambiente era destinato alla lavorazione metallurgica del mercurio, che spesso avveniva all’interno di opifici voltati allo scopo di raccogliere anche i vapori mercuriferi condensatisi nel soffitto. Sul lato opposto si aprono i grandi ambienti del palazzo, realizzato alla fine del Duecento come residenza signorile e suddiviso in tre distinte dimore contadine solo dopo la fine del

XVI secolo. Sul tratto occidentale delle mura perimetrali e nella loro parte basamentale, notiamo i resti del più antico palazzo signorile realizzato nella seconda metà del XII secolo e l’apertura realizzata contestualmente per dare accesso alla torre adiacente, edificata sul finire dell’XI secolo.

Usciti dal palazzo possiamo osservare la serie delle pavimentazioni moderne e le tracce delle strutture preromaniche in pietre appena sbozzate e legname, che definivano originariamente l’area sommitale. Proseguendo verso ovest, infine, raggiungiamo il basamento della torre alla quale, come si è visto, furono addossate le strutture del palazzo più antico.

Tornando sui nostri passi e costeggiando l’esterno del palazzo, sulla nostra destra notiamo due ambienti (edifici A e B), addossati nel basso Medioevo all’antico muro di cinta che definiva l’area sommitale, e ci portiamo sul ciglio della mura che chiudono la rocca: da questo punto privilegiato possiamo osservare il borgo occidentale che si estende in basso, degradando con i suoi terrazzamenti sin quasi alle strutture novecentesche delle miniere del Morone. Al momento in cui scriviamo è in fase di elaborazione un progetto di valorizzazione del comprensorio di Rocca Silvana, che prevede tra l’altro la realizzazione di itinerari di visita finalizzati al ricongiungimento del castello medievale agli impianti minerari del Morone e al paese di Selvena.

Fonte: Guida alla Maremma medievale. Itinerari di archeologia nella provincia di Grosseto