Archeologia e storia a Rocca Silvana (Castell'Azzara). Un progetto di indagine pluridisciplinare su potere signorile e sfruttamento delle risorse minerarie nell'Amiata del medioevo




FRANCOVICH, R. et alii, Archeologia e storia a Rocca Silvana (Castell'Azzara). Un progetto di indagine pluridisciplinare su potere signorile e sfruttamento delle risorse minerarie nell'Amiata del medioevo, «Amiata Storia e Territorio».

 

NOTIZIE STORICHE

La storia del castello di Selvena, fatta sulle fonti documentarie, appare strettamente connessa alla genesi ed all'esercizio di robusti poteri signorili, esercitati dagli Aldobrandeschi dopo il crollo delle istituzioni pubbliche carolingie in questa regione fortemente caratterizzata dalla presenza di risorse minerarie "strategiche". Pur offrendo interessanti spunti per la comprensione di questi temi e delle vicende insediative altomedievali di Selvena, i testi scritti, come di norma, risultano esigui e laconici, tanto che il loro studio palesa quanto sia stringente la necessità di una indagine stratigrafica del sito, affiancata ad una sistematica ricerca topografico-archeologica sul suo comprensorio.

 

La prima attestazione documentaria del comprensorio ove sarebbe sorta la rocca di Selvena risale all'833, quando "Stefanus filium bone memorie Iffonis, comis de cibe Suana" fece dono ad un proprio livellario di una "casa et res [...] in Silbina"[1]. In considerazione del ruolo egemone svolto durante l'alto medioevo dai poteri pubblici nello sfruttamento delle risorse minerarie toscane[2], appare assai significativo che il conte di SovanaStefanus, titolare della più alta carica locale, disponesse di beni in Selvena, territorio appartenente al "comitatus" sovanese. Inoltre, in testimonianze documentarie di poco successive, tra i beni ubicati nel comprensorio di Selvena compare una località denominata "Badu Reu" il cui nome rimanda all'esistenza di antichi beni fiscali[3].

Nel corso del IX secolo il monastero di S. Salvatore al Montamiata acquisì alcuni possessi ubicati "in fundo, bico et casali Silbina" anche da un agiato esponente del mondo rurale che si dichiara "de bico Silbina": in età carolingia, quindi, il nome Silbina non indicava semplicemente una realtà fondiaria (fundus, casale) ma designava un villaggio ed il relativo comprensorio (casale, vicus)[4].

Durante i secoli X-XI le pendici meridionali amiatine videro affermarsi il potere aldobrandesco, che si andò sempre più manifestando attraverso il controllo esercitato su alcuni castelli, tra cui quello di Selvena, che sappiamo esistere già negli anni '80 del secolo XI. Attraverso una lettera stilata attorno al 1083-1084, infatti, i monaci di S. Salvatore protestarono presso l'imperatore perché l'aldobrandesco Ugo del fu Ildebrando "iuxta castrum, quod Selvena vocatur, villam retinet ac suis pro sua in beneficio concessit"[5]. Si può ipotizzare che il villaggio (definito "villa" nella lettera dei monaci) si sia sviluppato nell'ambito territoriale del "bico Silbina" documentato nell'875, dal momento che in esso vantava diritti l'abbazia di S. Salvatore, probabilmente in virtù delle sopra accennate acquisizioni fondiarie effettuate nel corso del secolo IX. In questo contesto territoriale, verosimilmente con l'intervento dei conti aldobrandeschi, sarebbe sorto un castrum - che riteniamo individuabile nel sito dell'attuale "Roccaccia di Selvena" - cui facevano capo elementi militarizzati della società locale legati da rapporti di 'fidelitas' con esponenti della casata comitale[6].

Del resto, quando all'inizio del XIII secolo, il castello di Selvena torna ad essere menzionato nella documentazione superstite, esso risulta inserito nel dominato aldobrandesco: nel 1208 il testamento di Ildebrandino VIII fa riferimento ai cospicui redditi che avrebbe potuto trarre dal suo controllo la moglie Adelasia e nel 1216 il castrum costituisce oggetto di una spartizione ereditaria operata tra i quattro figli del conte[7]. Negli anni '40 del secolo Selvena, come altri castelli della Toscana centro-meridionale posti a controllo delle principali risorse minerarie argentifere, è oggetto delle vigorose rivendicazioni al fisco imperiale operate da Federico II e dai suoi vicari. Nel 1241 un atto di Pandolfo Fasanella, vicario imperiale in Toscana, è datato "in obsidione, sub castri Silbyne"[8], a testimoniare il tentativo di occupazione militare attuato nei confronti del castello aldobrandesco. Tramontate le sorti dello schieramento filo-svevo, nel 1274 Selvena costituisce oggetto di una nuova spartizione tra i due rami della casata aldobrandesca, venendo assegnata ai conti di S. Fiora, di tradizione ghibellina[9]. Pochi anni dopo, nel 1286, una nuova spartizione torna ad assegnare ad Ildebrandino Novello, degli aldobrandeschi di S. Fiora, uno "ius [...] in argentifodinis Silvene"[10]. Meno indagate sono le fasi di vita tardo-medievali del castello di Selvena, che sarebbe stato assoggettato al comune di Siena alla metà del XIV secolo per confluire nel 1417 nella contea di Pitigliano.

 

Il principale interesse storiografico che muove le indagini sul castello di Selvena è rappresentato dalla possibilità di studiare il rapporto tra l'isediamento e le modalità di sfruttamento delle risorse minerarie locali. Il castello di Selvena domina il massiccio del Monte Civitella, le cui pendici accolgono il più consistente giacimento europeo di cinabro, ove ancora nel secolo scorso i minerali mercuriferi erano estremamente abbondanti e facilmente reperibili anche in superficie[11]. D'altro canto emergono nella trattatistica rinascimentale notizie sull'esistenza presso Selvena di solfuri utilizzati in passato per la produzione di vetriolo, allume ed antimonio[12],, entro i quali si può ipotizzare fosse incluso, originariamente, anche argento[13]. Le possibilità di sfruttare tali risorse (già lo stesso toponimo "Silbina" potrebbe essere collegato alla presenza nell'area di elementi in qualche modo riconducibili all'argento, tra cui anche il mercurio denominato nel medioevo "argento vivo") sono verosimilmente alla base dell'importanza assunta dal centro per gli Aldobrandeschi - esplicita nei loro atti dispositivi sin dai primi anni del secolo XIII - e potrebbero anche spiegare l'inconsueta imponenza delle strutture castellane[14]. Del resto, il notevole rilievo assunto dalle argentarie di Selvena per i due rami della famiglia aldobrandesca è chiaramente testimoniato in atti della seconda metà del Duecento[15], sebbene ancora non sia chiaro se il metallo sfruttato fosse argento vero e proprio o il cosiddetto "argento vivo", ottenibile dai giacimenti cinabriferi[16].

IL TERRITORIO E IL CASTELLO

Il castello di Selvena sorge su un'altura a 573 m. s.l.m. nell'alta valle del Fiora, a circa 3 Km. in linea d'aria, alla confluenza fra i fossi Radicheto e Canala[17] .

Il comprensorio è caratterizzato dalla presenza di notevoli risorse minerarie[18]. In particolare proprio nell'area dell'abitato venivano estratti mercurio, antimonio, zolfo, vetriolo e forse rame[19]. Vi sono evidenti tracce di coltivazioni minerarie in epoca preindustriale, e addirittura preistorica, etrusca, medievale e rinascimentale. Lo zolfo e l'antimonio di Selvena sono anche ricordati nel XVI secolo dal Biringuccio e dal Mercati. Lo sfruttamento di queste risorse, dopo un periodo di abbandono, è ripreso alla fine del XIX secolo per concludersi solo nel 1981.

In località Cornacchino[20] era attiva una miniera di Cinabro sulla cui antichità però mancano dati precisi, mentre a nord, al confine con la provincia di Siena, erano le miniere di mercurio di Solforate-Monte Civitella e Siele Carpine[21]. Quest'ultima località presenta attestazioni di sfruttamento in età protostorica, etrusca e nel medioevo.

R.F.

 

Rocca Silvana è uno dei pochi castelli toscani abbandonati i cui resti monumentali sono ancora in ottimo stato di conservazione. Le note che seguono sono il frutto di una prima ricognizione sul sito, che ha suscitato numerosi quesiti sull'assetto urbanistico, sulle funzioni di singoli edifici, ma soprattutto lasciando aperta la questione delle prime fasi dell'insediamento. Come in molti altri castelli toscani, infatti, anche qui la fase romanica, ben visibile anche ad una prima indagine, potrebbe costituire la monumentalizzazione di forme di popolamento ben più antiche.

La sommità su cui sorge è di forma allungata vagamente trapezoidale e misura circa 110 x 40 m. Le pareti della rocca sono molto scoscese, quindi non vi era necessità di imponenti opere di fortificazione, nonostante questo c'è una cortina muraria che racchiude l'area sommitale dove sono gli edifici del potere signorile - palatium e torre pentagonale - mentre una seconda, più in basso[22], racchiude sul versante sud-ovest un borgo immerso nella vegetazione.

La cinta dell'area sommitale presenta alcuni tratti costruiti in fase con il cassero, databili entrambi al periodo romanico, e altri con tecnica decisamente posteriore e riferibile all'età moderna o alla fine del medioevo[23]. Sul versante nordest le mura dell'area signorile presentano un punto di sutura molto evidente: da un lato la parte romanica, che cingeva un'area più piccola di quella attuale, a cui si addosa sull'altro lato un muro bassomedievale che amplia l'area in direzione della torre pentagonale[24], presso la quale è l'accesso attuale[25]. Posta sul margine est della rocca, questa torre è un monumento di grande interesse per lo stato di conservazione, la forma particolare, l'estrema cura della tessitura muraria. Si tratta di una struttura realizzata in un filaretto di conci di pietra locale ben squadrati e talora, nella parte bassa, a bugnato in facciavista. Questi elementi inducono a ritenerla opera di maestranze estremamente specializzate, e per il momento non trova confronti in altre strutture all'interno del castello. Le parti romaniche del palatium e del muro di cinta hanno infatti una tessitura più sommaria. Al fianco della torre, all'interno dell'area sommitale, è un ambiente voltato di incerta funzione in parte coperto dalla vegetazione[26].

Al centro è il palatium, un imponente edificio rettangolare[27] a due piani, realizzato prevalentemente in pietra locale con grande porta d'accesso sulla destra. All'interno sono ben visibili antichi restauri che però non ne hanno compromesso la struttura. Una prima analisi della tessitura muraria consente di vedere più fasi edilizie a partire da un impianto romanico, un rialzamento con corsi di altezza molto minore, forse una nuova fase di cantiere o forse un restauro successivo, ma sempre entro la metà del XIII secolo, e quindi un ulteriore rialzamento che presenta una tecnica decisamente più recente (conci spesso non sbozzati, frequenti zeppe di laterizio, scarsa attenzione alla posa in opera in corsi orizzontali). In più punti la struttura aveva subito frane di parte dell'incamiciatura esterna che hanno reso necessari restauri in antico[28].

A nord e a ovest del cassero e addossati al muro di cinta sono evidenti tracce di edifici sulla cui natura non possiamo dire niente al momento[29]. Una cisterna era al lato nordovest della rocca[30], mentre una seconda era adiacente al cassero[31]. Dunque l'area sommitale si compone di un edificio signorile, la torre, una piazza ed altri vani, forse alcuni dei semplici recinti, e almeno due cisterne, mentre il vero e proprio borgo era disposto a sud-ovest più in basso. Del tutto incerta rimane al momento la funzione di una parte di abitato realizzata sul fronte nord-est dell'area signorile[32].

Esterno all'area sommitale, ma a quanto sembra anche all'intero abitato, è un edificio rettangolare, forse dotato di un vano sottostante, che, per la presenza di numerosi frammenti di ossa umane intorno, viene generalmente identificato come chiesa (potrebbe dunque essere la pieve di S. Nicola).

C.C.

 

Il progetto di ricerca, le motivazioni e le prospettive.

Numerosi sono gli spunti di ricerca che un castello come questo offre. In primo luogo lo studio di un abitato medievale nel suo divenire storico, dalle prime attestazioni archeologicamente dimostrabili, fino all'abbandono. La risalita verso le sommità è un fenomeno di vasta portata che si realizza nei primi secoli del medioevo, creando le basi per il paesaggio dei castelli ancora ben visibile in Toscana pur con le trasformazioni degli ultimi decenni. Comprendere le dinamiche insediative, le modalità e i tempi della occupazione (o rioccupazione) della sommità diventa quindi non solo un punto centrale per capire la storia di questo sito, ma anche di un interno comprensorio.In secondo luogo, ed è l'elemento caratterizzante, la presenza di giacimenti minerari in tutto il Comune di Castell'Azzara consente di studiare la nascita e lo sviluppo di un paesaggio a vocazione specialistica e valutare in che misura questo incide sulla dinamica del popolamento nell'area circostante.

A parte le mineralizzazioni di rame, è interessante rilevare che la cospicua presenza di mercurio garantiva una materia di grande rarità nel panorama medioevale europeo.

Analogamente erano ritenuti di un certo interesse i giacimenti di zolfo, usato tra l'altro per la conceria e le manifatture tessili molto ben documentate nel comprensorio amiatino in età preindustriale e antimonio, utilizzato in alcune leghe metalliche e per produrre coloranti per rivestimenti ceramici.

Le attestazioni di escavazioni antiche, alcune delle quali riconducibili alla preistoria e al periodo etrusco, le sicure attestazioni medievali e rinascimentali sono un punto di partenza rilevante per la ricerca archeologica. E' infatti piuttosto raro riuscire ad avere indicazioni cronologiche così dirette e soprattutto distribuite su un arco cronologico così vasto. Sembra dunque che la risorsa mineraria sia stata fin da tempi molto remoti una delle voci principali dell'economia locale. Tuttavia si pongono numerosi quesiti:

- datare con precisione l'inizio dell'attività estrattiva;

- verificare se ed in che misura si può parlare di continuità lungo tutto il corso della storia. Recenti posizioni storiografiche hanno infatti messo in dubbio che durante l'età romana l'attività estrattiva in Italia sia stata abbandonata per riprendere nel pieno medioevo;

- valutare se in ogni periodo è stato utilizzato uno stesso giacimento o se vi sono stati avvicendamenti;

- dovremo poi collegare le diverse zone di estrazione ai punti lavorazione e quindi ai siti che controllavano queste attività.

- Come prospettiva di ricerca deve essere inoltre affrontato l'aspetto dell'organzzaizone sociale che presiedeva al ciclo produttivo. In particolare per il medioevo andrà focalizzato il ruolo dell'iniziativa signorile nella gestione di questa risorsa, anche in considerazione della particolare rilevanza che la più recente storiografia ha riconosciuto al caso di Selvena nella nascita dei poteri signorili nella Toscana medievale.

Ad una scala più ridotta dovremo comprendere se vi sono preesistenze insediative alla fase romanica visibile attualmente. La presenza di un abitato del IX secolo, quindi almeno 200 anni prima dell'omonimo castello, pone il problema di comprendere la genesi di questo sito, non escludendo a priori che la vicinanza dei giacimenti minerari sicuramente sfruttati in epoca preormana abbia suggerito la fondazione di un abitato sul luogo poi occupato dal castello.

Come primo passo è necessario un rilievo sistematico delle emergenze sia in pianta che in alzato, quindi occorrerà una pulizia del sito ed un primo lotto di restauri nei punti più critici (questa attività è già stata intrapresa dalla competente Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Siena e Grosseto). Infine sarà posibile pianificare una serie di interventi di scavo con il metodo dei saggi su aree campione, anche se l'interesse e la monumentalità del sito impongono di prevedere fin dall'inizio uno scavo integrale.

Contestualmente allo scavo dovrà cominciare la ricognizione sul territorio che potrà prevedere un settore intorno al sito dove l'indagine sarà effettuata a tappeto, ed una serie di transetti di valutazione della risorsa per la parte restante del territorio comunale.

Uno dei settori più stimolanti della ricerca attuale è certamente quello che investe l'archeologia dell'elevato ed in particolare sul versante antropologico. Lo studio dei tempi e dei modi della trasmissione del sapere tecnico da maestranze molto specializzate operanti in contesti molto particolari a maestranze locali meno specializzate è stato studiato solo in limitati contesti toscani. Estendere questo tipo di ricerche significa andare oltre l'analisi delle fasi costruttive di un edificio e leggere in esso gli artigiani, le comunità che costruirono l'opera.

Ovviamente dovranno ricevere particolare attenzione le tecnologie applicate all'attività estrattiva e metallurgica, individuando le aree produttive e valutando analogie e differenze con altri comprensori toscani.

 

La valenza scientifica di un castello di questo tipo è già, di per sé, un elemento che impone la ricerca e la valorizzazione; tuttavia, in un quadro sempre più attuale di turismo di qualità, la presenza di un polo come Rocca Silvana può contribuire non poco al rilancio di un'area alla ricerca di nuove forme di economia ecocompatibile.

La vicinanza a due nascenti realtà di parco archeologico (Abbadia S. Salvatore e Sorano) può costituire il target iniziale cui rivolgersi per coagulare risorse finanziarie e operatori turistici.

Come sempre avviene, la ricerca sul territorio fornisce poi ulteriori elementi per progetti di valorizzazione e l'idea di un parco archeo-minerario, in stretta connessione con altre esperienze analoghe in Toscana, deve essere tenuta in seria considerazione fin dalle prime fasi del progetto.

La creazione di un polo culturale deve prevedere una struttura museale da affiancare al monumento stesso, magari da ubicare nella vicina frazione di Selvena, dove gli elaborati grafici e i materiali dello scavo possano trovare adeguata collocazione.

La proposta didattica e divulgativa renderà necessario anche reperire personale qualificato per la gestione di queste realtà, incentivando così l'occupazione diretta di giovani e favorendo l'indotto (settore ristorativo-alberghiero, agriturismo, guide turistiche, turismo ambientale collegato alla riserva).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

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[1] Kurze 1974, pp. 232-234, n. 110.

[2] Cfr. in proposito Farinelli / Francovich 1994 e Francovich, R. / Wickham, Ch. 1994

[3] Kurze 1974, pp. 326-329, n. 155.

[4] Kurze 1974, pp. 324-329, nn. 154, 155.

[5] Kurze 1982, pp. 261-264, n. 309: ante 31 marzo 1084.

[6] Cammarosano / Passeri 1976, p. 294, n. 9.3.

[7] Fumi 1884, pp. 74-78.

[8] Volpe 1924, p. 85.

[9] Ciacci 1934, doc. dlxxx.

[10] Schneider 1907, doc. 931: 1286 agosto 6.

[11] Cfr. de Castro 1914, p. 134, Mascaro / Guideri /Benvenuti 1991, nn. 137, 142.

[12] Sullo sfruttamento delle cospicue mineralizzazioni di antimonio, allume e vetriolo a Selvena in età moderna cfr. la documentata ricostruzione di Biondi 1990; testimonianze significative in Mercati 1717-1719; Targioni Tozzetti 1777, pp. 61-63; Santi 1795, p. 188.

[13] Sulle tecniche per ottenere argento dal vetriolo, diffuse in area mediterranea sin dal II sec. a. C. cfr. Tylecote 1987, pp. 64-65, 112.

[14] Farinelli / Francovich c.s.

[15] Nel 1274 i conti aldobrandeschi di Sovana si impegnarono a "restaurare" l'"argenteria de Silvena" entro tre mesi, pena la cessione di metà della stessa al ramo della famiglia detto di S. Fiora. Ildebrandino il Rosso, conte di Sovana, coniava in quegli anni un buon numero di "Provisini" utilizzando con ogni probabilità metalli estratti in questa regione (cfr. Ciacci 1934, doc. dlxxx, p. 246). Nell'agosto 1286 in un nuovo divisione tra le due dinastie aldobrandesche erano assegnati ad Ildebrandino Novello, conte di S.Fiora, tutti i diritti "in argentifodinis Silvene" (Schneider 1907, doc. 931: 1286 agosto 6).

[16] Sulla denominazione "argento vivo" del mercurio metallico nel Senese durante il XVI secolo cfr. ad es. Biringuccio 1540, cc. 22ss. L'ipotesi di un riferimento al mercurio negli atti medievali, già presente nell'opera dell'erudito settecentesco Giovanni Antonio Pecci (Memorie ...: ASS, Ms. D 70, p. 135) e ripresa da altri studiosi che si sono occupati dell'argomento, è stata recentemente riproposta in Farinelli 1996, p. 40.

[17]: Tav. 1.

[18]: Mascaro / Guideri / Benvenuti 1991- Tav. 2

[19]: Tav. 2, n°137. Sul problema dell'estrazione dell'argento vedi sopra quanto detto da Farinelli.

[20]: Tav. 2, n° 142.

[21]: qui forse si estraeva anche il rame.

[22]: Tav. 3, n° 1 e 4.

[23]: Tav. 4.

[24]: Tav. 5.

[25]: Tav. 3, n°2 e Tav. 6.

[26]: Tav. 3, n° 3.

[27]: Tav. 3, n° 4, Tav. 7; dim. 28 x 13 m.

[28]: In un punto è ben evidente infatti che la tessitura romanica è ad un livello superiore, mentre quella bassomedievale più caotica è al livello di fondazione sul suolo roccioso (Tav. 8).

[29]: Tav. 4, n° 5.

[30]: Tav. 3, n° 6.

[31]: Tav. 3, n°7.

[32]: Tav. 3, n°8. Si tratta in maniera evidente di un ampliamento, ma non possiamo dire al momento se era un'altra parte del borgo, o piuttosto una zona destinata ad esempio ad attività produttive sul modello di Rocca S. Silvestro.

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