Divertimenti e passatempi del XX Secolo a Selvena




Come ci si divertiva nella prima metà del secolo? Certamente i ragazzi non possedevano le cose che hanno a disposizione i loro coetani di oggi, però riuscivano ugualmente a trovare il modo per stimolare la fantasia, anche con qualche passatempo stuzzicante. Per esempio, ci viene raccontato, che mentre si scartocciavano le pannocchie secche di granturco, i giovani tentavano i primi approcci con le ragazze. Chi riusciva a trovare una spiga rossa, tra quelle gialle, aveva diritto a baciare la fanciulla a cui era interessato, la quale, volente o nolente, doveva sottostare al rituale. Qualcuno più sfortunato, sopperiva alla malasorte, con un pizzico di furbizia: teneva in tasca una spiga rossa che al momento giusto tirava fuori con destrezza e abilità, ricevendo così il bacio previsto.

La sera della vigilia di Natale o per l’ultimo dell’anno, i bambini facevano il gioco del “semolino”: si nascondevano dei centesimi in un mucchio di semola, che veniva poi suddivisa per il numero dei partecipanti. Ognuno si aggiudicava i soldini che riusciva a trovare nel proprio mucchietto. Per carnevale, ci si divertiva con un passatempo che misurava l’abilità dei contendenti. Si prendevano delle uova, che dopo essere state lessate. venivano immerse nell ‘acqua tiepida di un catino basso e largo. Veniva fatta la conta tra i partecipanti, i quali, senza l’aiuto delle mani dovevano prendere l’uovo con il solo uso della bocca. I più bravi ci riuscivano al primo tentativo, mentre gli altri si arrangiavano aiutandosi con le dita, suscitando così le risate dei bambini più piccoli.

Una conipetizione che richiedeva molto virtuosismo era il “lancio della ruzzola” a cui si poteva partecipare da soli o in coppia. Per costruire questo attrezzo si usavano dei dischi di legno di faggio ai quali si applicavano delle lamine di ferro per evitare che si scheggiassero battendo sui sassi, dopo essere state lanciate. Infine vi si arrotolava dello spago, alla cui estremità era stata fatta una “cappia”, dentro alla quale si infilava il dito. Ai contendenti veniva indicato il percorso, quindi a rotazione si tirava la “ruzzola” e chi riusciva a mandarla più lontano, senza che questa uscisse dal campo di gioco, aveva vinto il premio che generalmente era un fiasco di vino.

Gli anziani di oggi ricordano che da piccoli giocavano a “righella”. Il gioco consisteva nel gettare un centesimo il più vicino possibile ad una stecca posta a terra. Il tiro veniva effettuato da una distanza di quattro o cinque metri e il vincitore si prendeva tutto il gruzzoletto dei soldini.

Molti altri erano gli intrattenimenti fatti dai ragazzi; descriviamo lo svolgimento di alcuni di questi.

Saltacerro: consisteva nel saltare più bambini piegati su se stessi nel minor tempo possibile.

Cenciomollo: si bagnava uno straccio che poi veniva lanciato addosso alle malcapitate ragazze apostrofandole con una tiritera che diceva così: “Cenciomollo, cenciomollo, se voi riderete cenciomollo bacerete!!”

Corsa col cerchio: con un cerchio di legno e un bastone, i nostri nonni gareggiavano per le strade, sfidandosi a chi arrivava per primo ad un traguardo stabilito. Si prendeva il cerchio e gli si dava una spinta, poi gli si correva dietro e man mano gli venivano dati dei colpetti col bastone perchè continuasse a correre senza andare fuori strada. Negli anni successivi il cerchio di legno è stato sostituito da un cerchione di bicicletta guidato con il fil di ferro.

Forasacchi: il gioco consisteva nel tirare un gruppetto di “forasacchi” addosso ad una ragazza. A seconda di quanti ne rimanevano attaccati alle vesti o ai capelli, questo sarebbe stato il numero dei fidanzati futuri della giovane.

Sassetto: gioco fatto con quattro sassi o noccioli di pesca, di cui uno posto a mucchietto sopra ai tre. Si tirava col nocciolo più grosso in modo da colpire e sparpagliare il mucchietto.

Schiaffetto: un ragazzo, in piedi, teneva una mano con il palmo aperto girata verso la schiena e con l’altra si copriva il volto lateralmente per non vedere dietro di sè. Uno dei partecipanti al gioco, dava uno schiaffo sulla mano aperta e subito dopo, insieme a tutti gli altri, roteava l’indice della mano verso l’alto domandando: “Chi è stato’?”. Colui che stava sotto doveva indovinare il responsabile dello “schiaffetto”; se “c’azzeccava”, veniva sostituito da chi aveva sferrato la sberla.

Seggiola del Papa: due bambini, intrecciando le mani in un determinato modo, portavano una bambina a spasso cantando: “La seggiola del Papa ci sta l’innamorata, la seggiola del Papa ci sta l’innamorata!!”.

Sdrucciolarella: era un gioco dei ragazzi consistente nello scivolare col sedere sul ghiaccio, su dei massi lisci, su un tronco d’albero, su un terreno a pendio. A volte venivano usate per tale scopo anche delle tavole di legno.

Cucco o cera: un gruppo di bambini si nascondeva mentre uno di essi doveva cercare di trovarli. Non appena un partecipante veniva scoperto, i bambini dovevano correre cercando di toccare per primi, con la mano, l’albero o il muro che fungevano da tana gridando, uno: “Cera per...”, l’altro: “Cera per me”, potendosi così salvare. L’ultimo bambino avvistato aveva la facoltà di evitare la sconfitta agli altri concorrenti ormai perdenti con le parole: “Cera per me, libero tutti!”. Negli anni a venire, una variante di questo gioco era quella di ùtilizzare un “bossolotto”, che veniva lanciato da uno dei partecipanti e raccolto da chi doveva star sotto, riportandolo nel luogo stabilito, mentre gli altri si nascondevano. Per vincere, invece di battere la mano sul muro, si doveva dare un calcio al “bossolotto” facendolo ruzzolare. Anche in questo caso l’ultimo giocatore poteva liberare gli altri prigionieri.

Bandiera: dopo aver formato due squadre di ugual numero e tracciato sul terreno una riga divisoria, queste venivano disposte una di fronte all’altra ed alla stessa distanza da un ragazzo che teneva in mano un fazzoletto fungendo da giudice. Dopo aver assegnato ai concorrenti il loro numero di gara, l’arbitro ne chiamava uno sventolando la bandiera con la mano tesa. Il giocatore che riusciva a prenderla, senza oltrepassare la linea di divisione del campo e tornare al suo posto, senza farsi toccare dall’avversario, aveva vinto.

Campana: si tracciava, con un gessetto o un bastoncino, un rettangolo diviso in sette spazi, poi si lanciava un sasso che doveva cadere all’interno di queste caselle. Saltellando, sempre su una gamba sola,senza toccare le righe di divisione, si percorrevano tutti gli spazi fino a raggiungere il sasso per poi tornare indietro. Andava fuori gioco chi pestava le righe o chi sbagliava l’ordine delle caselle.

Chiapparella: il concorrente, scelto dalla conta precedentemente fatta, aveva il compito di rincorrere gli altri toccandoli o prendendoli per la maglietta. Colui che veniva “acciuffato” lo sostituiva, continuando a “chiappare” gli altri. Oltre a questi giochi appena descritti, ci viene ricordato che le bambine passavano il tempo con delle bambole fatte di stracci legati fra di loro, oppure realizzate con dell’argilla, alla quale si aggiungevano dei pezzetti di legno per creare braccia e gambe.

Analizzando il modo di giocare dei bambini dei primi anni del Novecento, ci rendiamo conto che anche nel divertimento, trasparivano le condizioni di miseria delle famiglie; intatti i ragazzi dovevano trastullarsi con le cose che riuscivano a rimediare (sassi legni, uova...). Nelle lunghe serate invernali era consuetudine, riunirsi davanti al camino, per ascoltare le “novelle”, raccontate o inventate da alcuni anziani. Si rievocavano le gesta di svariati personaggi come la Pia dè Tolornei, il Fornaretto di Venezia, la storia dei briganti come Stefano Pelloni detto il “passatore’, Tiburzi, Menichetti e Ansuini.

Tra le storie inventate, che destavano molta curiosità fra i gicani, c’era quella che riguardava la “buca della fata”, nella quale fantasmi, streghe e maghi, la facevano da padroni. I narratori, per incrementare la suspence tra coloro che ascoltavano a bocca aperta, aggiungevano dei particolari sempre più inquietanti. Questi racconti, che duravano parecchi giorni, lasciavano nella mente dei ragazzi, un velo di mistero e una grande curiosità di voler conoscere in fretta la fine della storia. Dal dopoguerra in poi, con l’avvento di nuovi oggetti, i ragazzi facevano altri tipi di giochi, vediamo quali erano:

Giochi con le biglie, a pista: si tracciavano sulla terra delle piste con percorso misto, formato da salite, discese e curve. I giocatori, a turno, colpivano con le dita le biglie di vetro cercando di raggiungere in minor tempo possibile il traguardo. Chi faceva uscire la pallina dalla pista. era costretto a ripartire dal via. Il bambino che vinceva la gara, si aggiudicava le biglie degli altri concorrenti.

Palmà e trucchià: due ragazzi si sfidavano a questo gioco che consisteva nell’effettuare dei tiri con la biglia cercando di avvicinarla il più possibile a quella dell’avversario, in modo fale da poter “palmà”, cioè toccare le due palline con il pollice e il mignolo della mano ben distesa. Chi riusciva in questo intento si aggiudicava la biglia dell’avversario. Se contemporaneamente a “palmà” si riusciva anche a “trucchià”, cioè a colpire la pallina avversaria, si aveva diritto a prendere due biglie oppure un “boccione”, che era una pallina molto più grossa e più ambita delle altre.

Battimuro: consisteva nel battere contro il muro dei soldi o dei tappi di bottiglia in modo che, rimbalzando, si avvicinassero il più possibile al soldo o al tappo di un avversario, che si trovava per terra. Se la distanza era misurabile con il palmo della mano, il tiratore vinceva. Una variante a questo gioco veniva fatta con le figurine dei calciatori Panini; queste venivano accostate al muro e facendole scivolare dovevano cadere sopra a quelle dell’avversario, vincendo così tutte quelle che erano a terra.

Ranfia: per riuscire a completare l’album dei calciatori delle figurine Panini, i ragazzi di Selvena partecipavano a questo tipo di gioco. Chi aveva a disposizione molti “doppioni”, si metteva sul pianerottolo delle scalette che danno sulla piazzetta della chiesa e prendendone un mazzetto, le tirava per aria. Gli altri, posti nella zona sottostante, attendevano a braccia alzate la caduta di queste figurine cercando di accaparrarsene il più possibile, per poi andare a casa e controllare quelle che mancavano.

Guerra con le fionde: questo era un gioco molto pericoloso che si svolgeva tra i gruppi di ragazzi delle varie borgate. il capobanda di un rione, per qualsiasi futile motivo, dichiarava guerra al capo di un altro borgo. Si formava così una squadra di ragazzi, che armati di fionde e sassi, invadevano la zona del nemico cercando di colpire e catturare i coetani ostili. Chi veniva catturato, era sottoposto alla tortura dellortica”, cioè gli si sdrusciava” questa pianta sulle gambe nude, provocandogli forti bruciori. Quando il prigioniero veniva rilasciato e raccontava l’accaduto, scattava la vendetta dell’altro gruppo che cercava di lavare l’onta acciuffando e torturando a sua volta un nemico. I punti di ritrovo delle varie bande, dove si sceglievano le strategie migliori, erano all’interno di alcuni fortini costruiti sopra a delle piante. Oltre a questi divertimenti di gruppo, se ne potevano fare altri da soli, con l’ausilio di giocattoli come lo yo-yo, Fhula hop, la corda, il cubo magico, le freccette, i soldatini, i tegamini, etc. etc.

Col passare degli anni, si cominciavano a trovare anche alcuni giochi di società come: il Monopoli, il Rischiatutto, il Risiko... Per la soddisfazione degli adulti, negli anni sessanta, furono costruiti tre “pallari”, accolti con grande entusiasmo dalla popolazione maschile. Gli uomini cominciarono a sfidarsi in gare singole o di coppia, dove il premio per il vincitore era il “boccione” di vino, che veniva consumato dagli stessi partecipanti al gioco e da coloro che fungevano da giudici. I “pallari” si trovavano due al Belvedere, accanto al bar del poro Ciaro (Alfiero De Santis) e al bar di Edi Mazzieri, mentre il terzo era sito vicino al bar del poro Alpino Calastri. Questo passatempo, si svolgeva generalmente la domenica pomeriggio quando i bar si riempivano di gente. In quegli anni si erano formati dei gruppi di veri professionisti dell’“accosto” e della “bocciata”. Durante le varie fasi del gioco, i concorrenti, in caso di errore, erano sottoposti alle critiche della gente che seguiva con attenzione lo svolgimento della gara; nell’aria spesso echeggiavano vari epiteti quali “bicchio”, “pullero”, “somaro”... Alla fine della partita, i vincitori rendevano omaggio ai perdenti offrendo loro l’ennesimo bicchiere di vino. Ad oggi, grazie all’intervento dell’Amministrazione Comunale, è in costruzione un nuovo bocciodromo sito nell’area dell’ex Asilo Fratelli Rosselli.

La maggior parte dei giochi che sono stati descritti in questo capitolo, vengono fatti raramente dai ragazzi di oggi, perchè la tecnologia ha offuscato la fantasia dei giovani e si predilige invece l’uso della tivù e del computer.

Fonte: Viaggio nei ricordi del nostro paese, Selvena dal 1900 ad oggi di Stefano Fontani

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