La Beata Bettina da Castell'Azzara (Giovanni Battista Vicarelli)





Entrando nella chiesa parrocchiale, subito a destra, è infissa nel muro una lapide funeraria, in pietra viva, scura, delle dimensioni di m. 0,45x0,40. La pietra originariamente era stata posta proprio a terra (la base toccava letteralmente il pavimento), a ridosso della parete, ai cui piedi fu scavata la fossa per la sepoltura. NeI 1933, per i restauri che la chiesa ebbe a subire, fu innalzata di circa un metro e mezzo, e fu aperta nel muro una nicchia, capace di contenere la piccola cassa di abete con i resti delle ossa della giovane Elisabetta Loli da Castell’Azzara.

Per comodità dei lettori trascrivo la traduzione dell’epigrafe latina incisa sulla lapide:

Qui GIACE IL CORPO DELLA VERGINE

DI Dio ELISABETTA, CHE COMPIUTI

I VENTUNO ANNI DELLA SUA ETA’,

E DI QUESTI, PER DIECI, TORMENTATA

DAI DOLORI DI UNA CRUDELISSIMA

MALATTIA, AMMIREVOLE PER LA PAZIENZA

E RIPIENA DI MERITI

SI ADDORMENTO’ NEL SIGNORE

IL GIORNO 26 MAGGIO 1744


HIC IACET CORP. VIRG.

DEI ELISAB. QAE AETA. SUA

EXLPETO ANO UNO ET VI

GES. EX HISQ: DECE SEVIS

SI. AEGRITUD. AFFLICTATA

DOLORIB. ADMIRA PATIEN.

ET CUMULATA MERITIS

OBDORMIVIT IN DNO

DIE 26 MAII 1744.


Poco o nulla avrei potuto riferire su questa giovane, che il popolo chiama tutt’ora beata Bettina, se la fortuna non mi fosse venuta in aiuto.

Sfogliando un grosso volume manoscritto sulla « Visita III di Mons. Franc. Pio Santi », conservato nell’Archivio vescovile di Pitigliano, fui colpito dalla scrittura chiara ed inconfondibile di un vecchio arciprete di Castell’Azzara, anzi il primo che ebbe questo titolo, don Giulio Menichetti; scrittura che avevo potuta osservare in tanti altri documenti. Era una lettera indirizzata al vescovo; la riporto per intero:

« Ill.mo e Rev.mo Signore Sig.re P.ne (Padrone) Col.mo (Colendissimo).

Avendo trovato un’attestato fatto dal fù Vincenzo Sebastiani di Sovana, Chirurgo Condotto in questo Luogo, della sezione del cadavere della fanciulla fù Elisabetta, figlia del fù Santi Loli di questa Pieve, defonta fin dall’anno 1744, in concetto e fama di Santità, ed altri attestati di grazie ottenute per intercessione della detta Serva di Dio; ho stimato bene inviare colla presente detti fogli a V. S. Ill.ma, con pregarla à volerli inserire negli atti dell’ultima sagra visita fatta da V. S. Ill.ma e Rev.ma in questa Parrocchia nell’agosto dell’anno passato, affinché venghino conservati per ogni buon fine.

Di tanto mi occorre incomodarla nell’atto che umilmente imploro la sua santa Benedizione.

Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

Castell’Azzara 4 giugno 1798

U.mo obl.mo Servitore Giulio Menichetti

V.° Mons. Franc.co Pio Santi Vesc.o di Sovana ».


Così tutto il carteggio relativo ad Elisabetta Loli rimase, per circa duecento anni, inesplorato, fra il ticchettio monotono ed uggioso dei tarli, alla penombra degli scaffali neri e polverosi dell’archivio vescovile.

Ma vediamo chi fosse la giovane, che meritò tanta attenzione e considerazione da parte delle persone del suo tempo: attenzione e considerazione che si sono protratte, così, di bocca in bocca, fino ai nostri giorni.

Era figlia di certo Santi Loli (della madre non si conosce il nome), che abitava una casetta « in contrada “La Terra”, conf. Rutilio Ruffaldi, lo spedale, la Casa della Comunità, (salvo) se altri ».

La casa esistente anche oggi, seppure rimodernata, consisteva in due misere stanze, sopraelevate da terra, a cui si accedeva dal ballatoio, e in un fondo rustico seminterrato, vicina alla chiesa parrocchiale. L’ebbe in seguito il figlio Francesco in eredità, e come tale la troviamo nel documento citato .


Niente son riuscito a vedere nella sua vita d’infanzia, e neppure ho potuto conoscere in seguito a quale incidente o malattia, in tale età, perdesse l’uso delle gambe, e forse anche delle mani, tanto da non potersi più muovere per tutta la restante vita.

Sappiamo solo che la paralisi si verificò a circa dodici anni, quando ormai la ragazzetta aveva iniziato a dare un aiuto alla famiglia, correndo dietro l’orma forcuta, che il gregge lasciava nella terra argillosa del « Beffardo », dove appunto i Loli avevano i terreni .

Bettina cosi passò le sue giornate lunghissime, le sue nottate interminabili ed inquiete, o sulla sedia alla montagnola nel cantone del fuoco, o sul lettuccio basso, che strideva ad ogni movimento, per il saccone ripieno di foglie di granturco.

Dieci anni, senza speranza di guarigione o di miglioramento.

Solo nei giorni di festa, e tre volte alla settimana « veniva portata di peso in una sedia alla Chiesa », per ricevere la comunione.

Mai un lamento, mai un segno d’impazienza; una rassegnazione ccl una sopportazione, che dovevano meravigliare non poco le persone che l’avvicinavano.

A primavera inoltrata dell’anno 1744, Elisabetta fini di soffrire; era la mattina del 26 maggio. Tutta la giornata fu movimentatissima in casa Loli.

Per lo stretto vicolo le persone andavano e venivano: donne che volevano baciare la morta, che desideravano avere qualcosa a ricordo, che accostavano pezzi di stoffa, crocefissi, medagliette sul suo viso scarno, sulle mani sottili, sugli abiti modesti.

Intanto il pievano don Cristoforo Bresciani, che era riuscito a persuadere i genitori della morta, tenuto consiglio con altri sacerdoti, verso mezzogiorno, manda a chiamare il medico condotto del paese e cerca di convincerlo sulla opportunità di eseguire un’autopsia accurata sul corpo della ragazza.

Il medico, da principio tentenna la testa, è indeciso, insiste nel dire che per fare un simile lavoro occorrono attrezzi e personale adatto; finalmente cede alle richieste persistenti del pievano.

Alle sei di sera, quando le persone incominceranno a ritirarsi alle proprie case per la misera cena, si sarebbe tentato...

Sarà meglio, a questo punto, lasciare la parola allo stesso chirurgo, che dettò la relazione (la riporto per intero, senza alcuna correzione) al Chierico Francesco Bresciani, nipote dello stesso pievano, ma che poi sottoscrisse di suo pugno.


«AI nome SS.mo di Dio — Amen Adì 26 maggio

L’anno del Sig.re 1744

In Castell’Azzara

Io Vincenzo Sebbastiani cittadino sovanese, in oggi Cerusico condotto di questa Terra sudd.ta alle ore dodici fui mandato à chiamare dal Molto R.do Sig.re Pievano Gio. Cristofano Bresciani di questa Terra e portatomi alla di lui casa et abboccatomi con il med.mo e domandatoli cosa da me richiedesse, et il med.mo mi disse che essendo morta una fanciulla per nome chiamata Elisabetta figla d’un’ certo Santi Loli di questa Terra, quale per dieci anni, era stata in ferma in letto senza mai potersi movere ne far’ cosa alcuna, eccettoato che quando veniva portata di peso in una sedia alla Chiesa tre volte la settimana, e tutte le feste per ricevere Gesù Sagramentato; Onde il sud.o Sig.re Pievano come confessore di d.a fanciulla avendola in qualche buon’ concetto, e da S. D. Dio ispirato per la buona vita della fanciulla che nel di lei corpo dovesse trovarsi, ò vedersi qualche cosa di prodiggioso; onde instantemente fui pregato dal sud.o Sig.re Pievano à volere venire alla pertura di d.o Cadavere, et io per trovarmi solo, e senza nissuno assistente di mia professione ostavo far’ detta operatione, ma poi spinto non sò da che, se fosse istinto di reputazione, o pure volontà di Dio, ancorché solo e con l’assistenza del M.to Rev.do Sig.re Pievano sud.o e d’un’ mio figlio d’anni quindici nominato Ruggiero Ambrogio Maria, mi esposi in nome di Dio all’ore dicedotto à fare detta apertura ò operazione, come dir vogliamo; E principiando in nome di Dio SS.mo e fatto il solito requie da farsi, devenni al primo taglio dell’infimo ventre, et anatomicamente operando, fatto il solite taglio crociale, osservato il ventricolo, ò stomaco, come dir’ vogliamo, non si trovò nel med.mo nessuna goccia, ne stilla di materia nutritiva, ne tampoco di materia fluida ò sierosa di sorte alcuna, ma bensi il detto ventricolo ò stomaco, come dir vogliamo, era asciutto e bianco, come se stato fosse fatto d’una candida tela, e successivamente tutti gl’altri intestini, eccettuato che nell’intestino retto ritrovavasi ijna poca e piccola quantità d’escrementi; di poi alla presenza de i sud.i venuto all’apertura del petto, ò medio ventre, come dir’ vogliamo, osservato con tutta esattezza tutte le parti in se contenenti, non trovossi nissuna imperfezzione in esse, eccettuato che doppo aver fatta diligente et esatta osservazione si nell’infimo ventre, che nel detto, non si ritrovò imperfezzione alcuna; solo quasi nel voler’ desistere dall’operazione, come che essendo solo, e senza nessuno di professione, essendomi quasi dimenticato il venire all’opertura del pericardio, qual’aperto con gran’ mia maraviglia, e stupore, fù grazia di Dio che io non uscissi di sentimento, poiché osservai nel cuore, cosa altro che prodigiosa non puoi’ dirsi, cinque ferite in diverse forme, e tutte stillanti sangue come s’allora proprio fossero state fatte, non essendo in esse callo, nè sanie di sorte alcuna, ma solo stillanii sangue puro e naturale.


Per tanto si chiamarono l’infrascritti sacerdoti cioè il M.to Rev.do Signore D. Giuseppe Fortunati e il M.to Rev.do Sig.re D. Domenico Angeli e il chierico Domenico Antonio Paris et il Chierico Francesco Bresciani et altri; per far’ vedere un’ caso simile, et una cosa prodiggiosa, che potesse campare con cinque ferite fuori dell’ordine naturale; onde estratti tutti i visceri interni, separatamente l’uno dall’altro, furono posti in vasi adeguati, e seppelliti con il detto Cadavere, eccetto il cuore, quale separato dal polmone, e ben’ depurato dal sangue conservasi in vaso di cristallo nell’acquavite acciò possa vedersi da chiunque ’ voglia vedere; Questo è quanto da me sud.o fù ritrovato nel cadavere descritto; da mantener tutto in qualsivoglia tribunale con mio giuramento per la pura e mera verità senza adulazione.

Io Cerus.co Vincenzio Sebastianj affermo quanto in questa si contiene. In fede m. . ».


Le ultime operazioni furono compiute al lume tremulo delle cansolo dele, e fra il vocio sommesso della gente, che sostava fuori della porta, in attesa della veglia notturna.

Il giorno dopo, linumazione, dietro una lunga esposizione in mezzo alla chiesa, perché tutti potessero osservare, per l’ultima volta, quel povero corpo inanimato.

Dagli amboni intanto, dai pulpiti delle chiese circonvicine, furono predicate le virtù di Elisabetta, fu esaltata la sua morte santa, fu portata ad esempio la sua inesauribile pazienza.

Per mezzo dei frati questuanti (sempre pronti a divulgare notizie fuori dell’ordinario), che facevano capo all’ospizio di Castell’Azzara per la cerca delle diverse derrate nel contado, da un paese all’altro, la fama corse nelle case dei benefattori benestanti, e di quelli che, al frate cercatore, davano solo un piatto, e non ben colmo, di grano.

Intanto furono stampate le prime immagini, furono distribuiti pezzetti di stoffa degli indumenti indossati dalla defunta, come reliquie, e così subito, qualche mese dopo la morte, possiamo notare i primi miracoli, le prime grazie, che valsero alla nostra il titolo di serva di Dio, di beata.

Leggo infatti nel volume citato:

«Al nome SS.mo di Dio e della Beatis.ma sempre Vergine Maria, e cosi sia.

L’anno della Salutifera Incarnazione del n.ro Sig.r Gesù Cristo millesettecentoquarantacinque Ind.ne , secondo lo stile dei notari sanesi, et il dj quattro del mese di giugno, Benedetto XIV, sommo pontefice sed., vacante il Romano Impero pella morte di Carlo sesto d’Austria, e l’A. R.le del Serenissimo Fran.co Terzo di Lorena Gran Duca di Toscana ottavo signore n.ro felicem.te dominante. Costituita personalm.e avanti di me Not. e testimoni infrs.ti Francesca di Fran.co Pacchiarini, ved.a del fu Giuseppe Mastacchini della Terra di Castell’Azzara, ad ist.a (istanza) e requisiz.e (requisizione) di Pia Persona, che per la pura e mera verità ricerca, alla quale per me deferito il guiram.to di dire la verità, conf.e (conforme, come) la med.a giurò, toccate le scritture, etc. a delaz.ne di me not. sud. ed infras.to, monita etc., depose e depone quant’app.o (appresso), cioè che fin dal mese di aprile 1744 essendogli infermata in letto Caterina, una delle sue figlie a causa di un’ gran tumore fissatosegli nel ginocchio sinistro, il quale gli cagionava un’eccessivo spasimo, privandola si di giorno che la notte del necessario riposo, con l’intervento anche di continua febre, fece curare per lo spazio di circa tre mesi, per mezzo del Cerusico condotto di d.a terra il d.o malore, ed essendo il d.to tumore venuto a suppuraz.e e restato attratto il piede in d.o ginocchio e quasi addoppiato che in nessun conto lo poteva slungare e porre in terra, essendoseli ritirati i nervi, per il che ne riportava la paziente un’ non ordinario dolore, ne trovando alcun’ rimedio efficace à poter liberare almeno in qualche parte la d.a paziente dalla d.a attrazione, e dolore, determinò di ricorrere alla buona Serva di Dio Elisabetta Loli di d.a terra, di poco tempo passata da questa à miglior vita in concetto ben certo di sua eterna Beatitudine, per la somma umiltà e pazienza, e per la vita si esemplare sempre menata per tutto il corso di sua vita. Avendo certa notizia che il m.to R.do Gio. Cristof.o Bresciani di d.a Terra, preservava alcuna memoria di d.a buona serva di Dio, mandò a chiamarlo, e lo pregò à volergli far la carità di segnare la parte offesa della figlia di d.a piefaciente, come in effetto fece, e doppo segnata con un pezzetto di tela intinta nei sangue del Cuore stigrnatizzato della d.a Serva di Dio, e con una Crocetta piccola, che la med.a continuam.e teneva indosso, mentre era in vita, la pigliò per la mano, dicendogli, che avesse una vera fiducia in d.a Serva di Dio, e che sperasse costantem.e che per mezzo della med.a avrebbe riportato dall’Altissimo la salute, ed alzandola in tal’atto dal suo letticciuolo, la fece camminare per la casa, e di poi, doppo tre giorni, restò affatto libera e spedita dalla d.a attrazdepone zione, e dolore, e mai più da indi in poi, soffri altro detrimento.


Che è quanto disse poter asserire e deporre, per la pura e mera verità sù tal particolare.

Fatto in Castell’Azzara nella Casa Pievania di d.a terra e tutto alla presenza, e presenti il ni.to r.do sig.r D. Ilario del Sig.r Dep.rio Gio, Marazzi, ed il Sig.r Chierico Franc.o del fù Sig.r Lorenzo Attilio Massicci Bresciani, ambedue della Terra di S. Fiora, testimoni cogniti et à tal’efamente

fetto chiamati, e pregati, etc.

Io Girol.o del q. (quondam, fu) Biagio Pascucci cittad. Pientino, not. pub. san. e delle predette cose rog. ».

A questa che fu dichiarata la prima grazia, altre ne seguirono in Castell’Azzara, che io riporto integralmente, per scrupolo di raccoglitore di memorie.


«Al nome SS.mo di Dio etc.

Donna Santa di Bartol.o Ricciarelli... depone quant’app.o, cioè che fin dal mese di maggio 1744, trovandosi travagliato dalla rogna il di lei fìglio denorn.to Vincenzio, et insieme assalito da un certo morbo di spavento, ò delirio, il qie per due volte al giorno, lo privava di sensi, ed operava nell’istesso diversi effetti, enfiandosi al paziente la gola, con strepiti impetuosi, con fissazioni di occhi spaventati, si dava a fuggire in quà ed in là, senza sapersi dove, e se non fosse stato ritenuto dalla fidefaciente, si sarebbe senz’altro precipitato, ed incorso il risico di sua vita; finalm.te doppo il corso d’un’ mese, non potendo piii soffrire in d.o suo figlio un’ tal malore, vedendo che le umane diligenze non apportavano al paziente alcun’ benché minimo sollievo, non che la guarigione, ispirata da Iddio Benedetto, avendo fiducia nella serva d’Iddio Elisabetta Loli di d.a Terra di C. Azzara, poco avanti defonta in concetto di sua eterna Beatitudine, si per le sue rare qualità, si per la sua vita ammirabile della pazienza, di mandare à chiamare, come fece, il M.to R.do Sig.r Cristofano Bresciani Pievano di d.a Terra, affinché applicasse qualche cosa della d.a Serva di Dio al pred.o suo figlio; conforme il med.mo Sig.i’ Pievano, ricevuto l’avviso, si portò alla casa della fidefaciente, ove trovato il paziente vessato dal suo malore, e posto sopra la di lui testa, un’ pezzetto di tela intinto nei sangue del cuore stigmatizzato della d.a Serva di Dio, assieme con una piccola crocetta, che continuam.e la med.a teneva indosso mentre era in vita, immediatam.e cessò e restò libero il pred.o suo figlio dal d.o malore, e da quel tempo in poi non ne ha più patito. Che è quanto disse poter asserire, e deporre per la pura e mera verità su tal particolare.

Fatto in Castell’Azzara etc. ».

a carte 179.


«Camilla figlia d’Ant.o Papalini... depone quant’appresso, cioè: che fin dal mese di Settembre del 1744, sorpresa la fidefaciente da una fiera doglia nella coscia destra, che la rendeva inabile à poter sostenersi in piedi, convenendogii perciò stare à sedere continuam.e, senza trovar’ mai alcun’, benché minimo riposo, provando mattina e sera dolori atrocissirni nel porsi e nel levarsi rispett.e dal letto, e che dopo il corso di circa tre settimane, non potendo più resistere, e bramando liberarsi da tali angoscie, come ispirata dall’Altissimo, si risolvette di ricorrere alla buona Serva di Dio Elisabetta Loli di d.a terra di C. Azzara, da poco tempo passata da questa all’altra vita, in concetto più che certo di sua eterna beatitudine, per la sua vita cotanto esemplare sempre menata, e dotata di una somma pazienza, e pregarla à volersi degnare d’intercedergli da Iddio Benedetto, la sua primiera salute, e su questa fiducia animatasi, pensò di portarsi alla meglio alla casa del Sig.r Pievano di d.a Terra, conf.e fece coll’assistenza d’una tal Giovanna, figlia di Pavol’Antonio Bizzarri della stessa terra; ove finalmente con gran fatiga e stento pervenuta, per via d’appoggio alle muraglie, ed alla detta Giovanna, pregò il d.o Sig.r Pievano à volergli segnare le detta parte offesa con un’ pezzetto di tela intinta nel sangue del cuore stimatizzato di d.a Serva d’Iddio, che dal medesimo Sig.r Pievano preservasi assieme con una piccola crocetta, che la stessa serva di Dio portata avea indosso per tutto il corso di sua vita; onde essendoli dal pred.o Sig.r Pievano stata segnata una sola volta, restò istantaneamente affatto libera, essendosene ritornata alla propria casa senza servirsi d’alcun’ appoggio ò umano sussidio, e da indi in poi non aver più patito simil’infermità, né dolore. Che è quanto disse poter asserire e deporre per la pura e mera verità su tal particolare.

Fatto in C. Azzara etc. ».

a c. 180.

«Al nome etc.

...Donna Serafina d’Angelo Ricciarelli, moglie al presente di Dionisio Testi della Terra di C. Azzara... depone quanto siegue, cioè che circa un’ anno fà, doppo aver data alla luce una bambina, e liberatasi dai soliti malori del parto, li sopraggiunse un’eccessivo dolor di reni, à segno tale, che li sembravano slogate tt.e (tutte) quante le ossa, di modo che l’impediva ‘ poter’ oprar cos’alcuna nel servizio di sua casa, non potendo ne pur’ muoversi ne respirare; ed essendo restata vessata da un’ tal dolore per il corso di circa un’ mese, e dubitando di non potersene liberare, sua vita durante, affidata alla Serva di Dio Elisabetta Loli di d.a terra di C. Azzara, da non molto tempo passata da q.ta à miglior vita, in concetto di sua eterna beatitudine, si per la sua vita ammirabile della mai interrotta pazienza, come per le sue rare qualità, pensò ricorrere, conf.e fece, alla d.a Serva di Dio e pregatala di vero cuore à volergli intercedere dall’Altissimo la sua guarigione; essendoli venuto alla memoria che trovavasi in sua casa un’ nastro con cui, (la) fidefaciente avea toccata la faccia di d.a buona Serva di Dio, mentre il di lei cadavere stava esposto nella chiesa Pievania di d.a terra, e cintasi con d.o nastro nella parte ove sentiva il dolore, restò immediatam.te sanata, e ritornò nel primiero stato di sua salute, e da indi in poi non ha più sofferto di detto malore. Che è quanto disse poter asserire, e deporre per la pura e niera verità sù tal particolare.

Fatto in C. Azzara etc. ».


Tutti gli atti trascritti figurano sotto la data del 4 giugno 1745, e sotto tale data lo stesso notaro riceveva pure il giuramento sulla relazione di autopsia, eseguita dal dott. Vincenzo Sebastiani, oltre LIII anno prima.

a c. 1721.

« Al nome SS.mo di Dio e della Beatis:ma sempre Vergine Maria,


e cosi sia. L’anno della Salutifera Incarnazione del n.ro Sig.e Gesù Cristo millesettecentoquarantacinque, Ind.ne , secondo lo stile dei notari saiesi, ci. il di quattro del mese di giugno, Benedetto XIV sommo pontefice sed,e, vacante il Romano imp.o pella morte di Carlo VI d’Austria e l’A. R.le del Serenis.mo Fran.co Terzo di Lorena Gran Duca di Toscana, ottavo Sig.r n.io felicemente dominante. Costituito personalmente davanti à me Notaro e testimoni infras.ti, il Sig.re Vincenzio del fù Sig.r Andrea Sebastiani della Città di Sovana, Cerusico condotto della terra di Castell’Azzara, per causa ed occasione di riconoscere l’attestato che sopra, asserto fatto dal med.mo, onde deferitoli il giuram.to di dire la verità, conf.e il med,mo giurò, toccate le scr.e (scritture sacre, il vangelo) à delazione di Not. soprad. ed infras.to, monito etc. e lettoli per me de verbo ad verbum (parola per parola) à chiara sua intelligenza, il soprad.to attestato, e resoglielo altresi ostensibile e da esso ben considerato, letto e riletto, dicendo essersi ben sodisfatto.

R. (risposta alla domanda del notaro). « Io hò inteso benissimo l’attestato che sopra da V. S. ad esso lettomi, ed hò ben’ veduto, letto e riletto, ed à bastanza considerato il med.mo, e dico esser quello med.mo, che fin dell’anno 1744, io feci il df 26 maggio (riconoscendolo benissimo dal carattere, ché lo feci formare, come migliore del mio, dal Sig.r Francesco Bresciani, à cui fu da me dettato di parola à parola, e dalla soscrizione che vi feci di proprio pugno) , e siccome il medesimo contiene in tutte le sue parti la pura e mera verità, cosi adesso, come tale, parim.te in tutte le sue parti lo ratifico e confermo ».

Fatto ìn C. Azzara etc. ».


La dichiarazione che segue è contenuta nell’inserto senza alcun numero progressivo di pagina; è la prima rilasciata da persona estranea al paese, e l’unica che non sia convalidata dal giuramento della dichiarante in presenza del notaro. « A di 7 aprile 1747.

Fede per me Felice Garnieri ne Cenni in Sinalunga , come circa mezzo aprile passato ero inferma di gotta a segno che non mi potevo muovere in conto alcuno, e oltre a raccomandarmi a Dio, conforme mi correva l’obbligo, mi venne in pensiero di raccomandarmi ad’ una certa Elisabetta Loli di Castell’a zara, la quale è in buonissimo concetto di santa conforme mi fu detto da fra Ginepro zoccolante, quale mi dette il ritratto di d.a Elisabetta, quale messo da me paziente sopra il male, mi trovai in un subbito risanata con renderne grazie a Dio et al ritratto della soprad.ta.

Et io Can.co Fran.co Terrosi d’ordine e presenza di detta Sig.a Fetrialice, sentito tutto il successo, n’ho fatta la presente fede di mano p.a ».

L’ultima voce proviene da Roccalbegna, ed ascende a quindici anni dopo la morte di Elisabetta.

a. c. 181.

« Al nome SS.o di Dio. Amen.

m’onore del grandissimo Iddio e della SS.ma Vergine Maria, e di tutta la Corte Celestiale, per dar gloria al med.mo e suoi santi, attestasi per la verità da me infrascritta, qualmente nel mese di gen.ro prossimo passato, non ricordandomi del preciso giorno, in occasione che Antonino mio nipote di anni quattro in circa, si trovava malato ed angustiato da un fierissimo dolore di corpo, non ostante che si applicassero tutti quei rimedi propri ed opportuni per farlo guarire, non fu possibile trovarne

arcun giovamento. Onde, veduto che i rimedi temporali non le potevano giovare, auta notizia che in Castell’Azzara anni sono sendo morta una buona persona di Dio, chiamata Elisabetta e che li ricorsi ed’ aiuti celesti alla medesima avevano giovato à più, particolarm.te avendo ottenuto dal M.o Rev.do Sig.r D. Cristofano Bresciani Pievano di d.o luogo, un pezzettino di camiscia della d.a Serva di Dio; auta vera fede, tolse una piccola parte della d.a camigia, e fattone minut.mi (minutissimi) pezzi e posti in una tazza di acqua pura, nel atto che detto mio nipote gridava e piangeva per il sud.o atroce dolore di corpo, datale la d.a acqua acciò la bevesse, gustata appena che ebbe la medesima e tutta beuta che subito il d.o Antonino disse che era guarito, e non fu più angustiato da d.o dolore.

Parimente attestasi da me infrascritta, come essendo travagliato d.o mio nipote da una atrocissima tosse, che dal medico veniva chiamata «convulsiva », che per liberarlo dalla medesima si adoprorno più rimemedi, che nulla giovarno, soltanto posso deporre per la verità che applicato il rimedio che sopra, quello li giovò e lo liberò dalla detta tosse, ne più fu dalla medesima molestato, ed in fede della verità ò deposto le cose suddette, ed ò soscritta di mio carattere la presente.

Roccalbegna 26 luglio 1759


Io Anna Margarita Carli ne Simonelli attesto come in questa, mano p.a (propria).

Al nome SS.o di Dio — Amen.

L’anno del Sig.e 1759 et il di 29 luglio costituita personalmente avanti di me not. pub. e test.ni infrascritti, la sig.ra Margherita Carli Simonelli cognita etc. alla quale deferito il giura.to di dir la verità, d. (detta) giurò, toccate etc., a dilaz. etc., monita etc., lettali la suddetta fede dalla med.ma fatta e soscritta, e bene intesa in tutte le sue parti, d.a disse, asseri primieramente averla di proprio pugno soscritta, che le cose contenute nella medesima sono vere, e contengono la verità in tutte le sue parti, e però detta tale la ratificò, e ratifica; confermò e conferma, non solo ma etc.

Fatto in S. Fiora alla presenza e presenti li m.to R. R.di Don D. Fran.co Nardini di S. Fiora e D. Dom.co Rossetti da Piano, testimoni cogniti.

Et io Pietro Fan.co Vaghaggini Not. pub. delle sudd.e cose rogato ».


Ho presentato tutti gli scritti, da me reperiti, senza alcun commento più che esplicativo, per non intralciare l’esposizione, e soprattutto per non fuorviare la libertà di critica e di giudizio, cui ognuno ha diritto.

Mi limiterò ora ad esporre solo alcune considerazioni mie personali ed opinioni di specialisti, interpellati a proposito, perché il criterio del lettore sia prima di tutto obbiettivo, e non voglia respingere a priori ciò che altri hanno asserito con giuramento sulle sacre scritture.

In merito alla autopsia, e in modo speciale alle stigmate o ferite nel cuore di Elisabetta Loli, ecco quanto ci ha lasciato scritto il Dott, Sergio Mugnai, specialista nelle malattie di cuore.



« 12 marzo 1965

Dott. Sergio Mugnai

Specialista Malattie Cardiovascolari e Reumatiche. Castell’Azzara (Grosseto)

Ad una disamina attuale è molto difficile fare un commento scientifico sul verbale del dott. Sebastiani, soprattutto per quanto riguarda il cuore.

La competenza del Sebastiani è per di più minima.

Io ritengo che le ferite del cuore siano state prodotte dal cerusico stesso con coltello o forbice nella manovra di apertura del torace o del pericardio.

Il fatto che da esse ferite uscisse sangue fluido, non può meravigliare, dato che, anche a diversi giorni dalla morte, o per la temperatura fresca, o per il genere di morte, il sangue può permanere nella cavità cardiaca ìncoagulato.

Si tratterebbe quindi di un falso reperto dovuto solo a tecnica inadeguata e interpretato in perfetta buona fede.

Non vedo come siano possibili altre spiegazioni ».


Certamente la vita sarebbe stata impossibile con le cinque ferite, che avrebbero lasciato invadere dal sangue la cavità toracica. Né d’altra parte si può pensare che Dio abbia voluto lasciar traccia della sua predilezione, facendo schiantare il cuore di una morta.


Per quanto riguarda gli attestati dei miracoli o grazie, noto, prima di ogni altra considerazione, che gli scritti presentati, ad eccezione dei due che narrano fenomeni estranei al paese di Castell’Azzara, anche se raccolti direttamente dal notaro, « ad istanza e requisizione di pia persona, che per la paura e mera verità ricerca », ad un esame approfondito, appariscono dettati o per lo meno suggeriti, nei ritorni di frase in elogio alle virtù della defunta, da un’unica persona, la stessa che compose o dettò l’epitaffio latino della pietra sepolcrale.

Ora tale « pia persona », che in ogni verbale viene messa in mostra, quasi con ostentazione, ricorrendo a codicilli, quando non sia stata inserita nel testo, non può essere che il rev. D. Cristoforo Bresciani, che, nominato pievano in Castell’Azzara, all’età di ventisette anni, nel 1731, aveva al tempo del trapasso di Elisabetta, quaranta anni.

I fenomeni riportati quindi, come devono essere giudicati? Veri miracoli od una ben architettata turlupinatura?

Il lettore decida.

Certo che la pratica intera, archiviata a cosi breve distanza di tempo, appena una quarantina di anni dall’ultimo attestato di guarigione ottenuta per il supposto merito o intercessione di Elisabetta Loli, fa pensare ad un fuoco che arse vivo, con improvvisi lumeggiamenti, finché le persone, i testimoni oculari della pazienza e della rassegnazione (che non metto assolutamente in dubbio), della ragazza, rimasero in vita, ma che a poco a poco andò scemando, fino a lasciare solo poca cenere grigia, a ricordanza.

Fonte: Castell'Azzara e il suo territorio di Giovanni Battista Vicarelli

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