Entrando nella chiesa parrocchiale,
subito a destra, è infissa nel muro una lapide funeraria, in pietra
viva, scura, delle dimensioni di m. 0,45x0,40. La pietra
originariamente era stata posta proprio a terra (la base toccava
letteralmente il pavimento), a ridosso della parete, ai cui piedi fu
scavata la fossa per la sepoltura. NeI 1933, per i restauri che la
chiesa ebbe a subire, fu innalzata di circa un metro e mezzo, e fu
aperta nel muro una nicchia, capace di contenere la piccola cassa di
abete con i resti delle ossa della giovane Elisabetta Loli da
Castell’Azzara.
Per comodità dei lettori trascrivo la
traduzione dell’epigrafe latina incisa sulla lapide:
Qui GIACE IL CORPO DELLA VERGINE
DI Dio ELISABETTA, CHE COMPIUTI
I VENTUNO ANNI DELLA SUA ETA’,
E DI QUESTI, PER DIECI, TORMENTATA
DAI DOLORI DI UNA CRUDELISSIMA
MALATTIA, AMMIREVOLE PER LA PAZIENZA
E RIPIENA DI MERITI
SI ADDORMENTO’ NEL SIGNORE
IL GIORNO 26 MAGGIO 1744
HIC IACET CORP. VIRG.
DEI ELISAB. QAE AETA. SUA
EXLPETO ANO UNO ET VI
GES. EX HISQ: DECE SEVIS
SI. AEGRITUD. AFFLICTATA
DOLORIB. ADMIRA PATIEN.
ET CUMULATA MERITIS
OBDORMIVIT IN DNO
DIE 26 MAII 1744.
Poco o nulla avrei potuto riferire su
questa giovane, che il popolo chiama tutt’ora beata Bettina, se la
fortuna non mi fosse venuta in aiuto.
Sfogliando un grosso volume manoscritto
sulla « Visita III di Mons. Franc. Pio Santi », conservato
nell’Archivio vescovile di Pitigliano, fui colpito dalla scrittura
chiara ed inconfondibile di un vecchio arciprete di Castell’Azzara,
anzi il primo che ebbe questo titolo, don Giulio Menichetti;
scrittura che avevo potuta osservare in tanti altri documenti. Era
una lettera indirizzata al vescovo; la riporto per intero:
« Ill.mo e Rev.mo Signore Sig.re P.ne
(Padrone) Col.mo (Colendissimo).
Avendo trovato un’attestato fatto dal
fù Vincenzo Sebastiani di Sovana, Chirurgo Condotto in questo Luogo,
della sezione del cadavere della fanciulla fù Elisabetta, figlia del
fù Santi Loli di questa Pieve, defonta fin dall’anno 1744, in
concetto e fama di Santità, ed altri attestati di grazie ottenute
per intercessione della detta Serva di Dio; ho stimato bene inviare
colla presente detti fogli a V. S. Ill.ma, con pregarla à volerli
inserire negli atti dell’ultima sagra visita fatta da V. S. Ill.ma
e Rev.ma in questa Parrocchia nell’agosto dell’anno passato,
affinché venghino conservati per ogni buon fine.
Di tanto mi occorre incomodarla
nell’atto che umilmente imploro la sua santa Benedizione.
Di V. S. Ill.ma e Rev.ma
Castell’Azzara 4 giugno 1798
U.mo obl.mo Servitore Giulio Menichetti
V.° Mons. Franc.co Pio Santi Vesc.o di
Sovana ».
Così tutto il carteggio relativo ad
Elisabetta Loli rimase, per circa duecento anni, inesplorato, fra il
ticchettio monotono ed uggioso dei tarli, alla penombra degli
scaffali neri e polverosi dell’archivio vescovile.
Ma vediamo chi fosse la giovane, che
meritò tanta attenzione e considerazione da parte delle persone del
suo tempo: attenzione e considerazione che si sono protratte, così,
di bocca in bocca, fino ai nostri giorni.
Era figlia di certo Santi Loli (della
madre non si conosce il nome), che abitava una casetta « in contrada
“La Terra”, conf. Rutilio Ruffaldi, lo spedale, la Casa della
Comunità, (salvo) se altri ».
La casa esistente anche oggi, seppure
rimodernata, consisteva in due misere stanze, sopraelevate da terra,
a cui si accedeva dal ballatoio, e in un fondo rustico seminterrato,
vicina alla chiesa parrocchiale. L’ebbe in seguito il figlio
Francesco in eredità, e come tale la troviamo nel documento citato .
Niente son riuscito a vedere nella sua
vita d’infanzia, e neppure ho potuto conoscere in seguito a quale
incidente o malattia, in tale età, perdesse l’uso delle gambe, e
forse anche delle mani, tanto da non potersi più muovere per tutta
la restante vita.
Sappiamo solo che la paralisi si
verificò a circa dodici anni, quando ormai la ragazzetta aveva
iniziato a dare un aiuto alla famiglia, correndo dietro l’orma
forcuta, che il gregge lasciava nella terra argillosa del « Beffardo
», dove appunto i Loli avevano i terreni .
Bettina cosi passò le sue giornate
lunghissime, le sue nottate interminabili ed inquiete, o sulla sedia
alla montagnola nel cantone del fuoco, o sul lettuccio basso, che
strideva ad ogni movimento, per il saccone ripieno di foglie di
granturco.
Dieci anni, senza speranza di
guarigione o di miglioramento.
Solo nei giorni di festa, e tre volte
alla settimana « veniva portata di peso in una sedia alla Chiesa »,
per ricevere la comunione.
Mai un lamento, mai un segno
d’impazienza; una rassegnazione ccl una sopportazione, che dovevano
meravigliare non poco le persone che l’avvicinavano.
A primavera inoltrata dell’anno 1744,
Elisabetta fini di soffrire; era la mattina del 26 maggio. Tutta la
giornata fu movimentatissima in casa Loli.
Per lo stretto vicolo le persone
andavano e venivano: donne che volevano baciare la morta, che
desideravano avere qualcosa a ricordo, che accostavano pezzi di
stoffa, crocefissi, medagliette sul suo viso scarno, sulle mani
sottili, sugli abiti modesti.
Intanto il pievano don Cristoforo
Bresciani, che era riuscito a persuadere i genitori della morta,
tenuto consiglio con altri sacerdoti, verso mezzogiorno, manda a
chiamare il medico condotto del paese e cerca di convincerlo sulla
opportunità di eseguire un’autopsia accurata sul corpo della
ragazza.
Il medico, da principio tentenna la
testa, è indeciso, insiste nel dire che per fare un simile lavoro
occorrono attrezzi e personale adatto; finalmente cede alle richieste
persistenti del pievano.
Alle sei di sera, quando le persone
incominceranno a ritirarsi alle proprie case per la misera cena, si
sarebbe tentato...
Sarà meglio, a questo punto, lasciare
la parola allo stesso chirurgo, che dettò la relazione (la riporto
per intero, senza alcuna correzione) al Chierico Francesco Bresciani,
nipote dello stesso pievano, ma che poi sottoscrisse di suo pugno.
«AI nome SS.mo di Dio — Amen Adì 26
maggio
L’anno del Sig.re 1744
In Castell’Azzara
Io Vincenzo Sebbastiani cittadino
sovanese, in oggi Cerusico condotto di questa Terra sudd.ta alle ore
dodici fui mandato à chiamare dal Molto R.do Sig.re Pievano Gio.
Cristofano Bresciani di questa Terra e portatomi alla di lui casa et
abboccatomi con il med.mo e domandatoli cosa da me richiedesse, et il
med.mo mi disse che essendo morta una fanciulla per nome chiamata
Elisabetta figla d’un’ certo Santi Loli di questa Terra, quale
per dieci anni, era stata in ferma in letto senza mai potersi movere
ne far’ cosa alcuna, eccettoato che quando veniva portata di peso
in una sedia alla Chiesa tre volte la settimana, e tutte le feste per
ricevere Gesù Sagramentato; Onde il sud.o Sig.re Pievano come
confessore di d.a fanciulla avendola in qualche buon’ concetto, e
da S. D. Dio ispirato per la buona vita della fanciulla che nel di
lei corpo dovesse trovarsi, ò vedersi qualche cosa di prodiggioso;
onde instantemente fui pregato dal sud.o Sig.re Pievano à volere
venire alla pertura di d.o Cadavere, et io per trovarmi solo, e senza
nissuno assistente di mia professione ostavo far’ detta operatione,
ma poi spinto non sò da che, se fosse istinto di reputazione, o pure
volontà di Dio, ancorché solo e con l’assistenza del M.to Rev.do
Sig.re Pievano sud.o e d’un’ mio figlio d’anni quindici
nominato Ruggiero Ambrogio Maria, mi esposi in nome di Dio all’ore
dicedotto à fare detta apertura ò operazione, come dir vogliamo; E
principiando in nome di Dio SS.mo e fatto il solito requie da farsi,
devenni al primo taglio dell’infimo ventre, et anatomicamente
operando, fatto il solite taglio crociale, osservato il ventricolo, ò
stomaco, come dir’ vogliamo, non si trovò nel med.mo nessuna
goccia, ne stilla di materia nutritiva, ne tampoco di materia fluida
ò sierosa di sorte alcuna, ma bensi il detto ventricolo ò stomaco,
come dir vogliamo, era asciutto e bianco, come se stato fosse fatto
d’una candida tela, e successivamente tutti gl’altri intestini,
eccettuato che nell’intestino retto ritrovavasi ijna poca e piccola
quantità d’escrementi; di poi alla presenza de i sud.i venuto
all’apertura del petto, ò medio ventre, come dir’ vogliamo,
osservato con tutta esattezza tutte le parti in se contenenti, non
trovossi nissuna imperfezzione in esse, eccettuato che doppo aver
fatta diligente et esatta osservazione si nell’infimo ventre, che
nel detto, non si ritrovò imperfezzione alcuna; solo quasi nel
voler’ desistere dall’operazione, come che essendo solo, e senza
nessuno di professione, essendomi quasi dimenticato il venire
all’opertura del pericardio, qual’aperto con gran’ mia
maraviglia, e stupore, fù grazia di Dio che io non uscissi di
sentimento, poiché osservai nel cuore, cosa altro che prodigiosa non
puoi’ dirsi, cinque ferite in diverse forme, e tutte stillanti
sangue come s’allora proprio fossero state fatte, non essendo in
esse callo, nè sanie di sorte alcuna, ma solo stillanii sangue
puro e naturale.
Per tanto si chiamarono l’infrascritti
sacerdoti cioè il M.to Rev.do Signore D. Giuseppe Fortunati e il
M.to Rev.do Sig.re D. Domenico Angeli e il chierico Domenico Antonio
Paris et il Chierico Francesco Bresciani et altri; per far’ vedere
un’ caso simile, et una cosa prodiggiosa, che potesse campare con
cinque ferite fuori dell’ordine naturale; onde estratti tutti i
visceri interni, separatamente l’uno dall’altro, furono posti in
vasi adeguati, e seppelliti con il detto Cadavere, eccetto il cuore,
quale separato dal polmone, e ben’ depurato dal sangue conservasi
in vaso di cristallo nell’acquavite acciò possa vedersi da
chiunque ’ voglia vedere; Questo è quanto da me sud.o fù
ritrovato nel cadavere descritto; da mantener tutto in qualsivoglia
tribunale con mio giuramento per la pura e mera verità senza
adulazione.
Io Cerus.co Vincenzio Sebastianj
affermo quanto in questa si contiene. In fede m. . ».
Le ultime operazioni furono compiute al
lume tremulo delle cansolo dele, e fra il vocio sommesso della gente,
che sostava fuori della porta, in attesa della veglia notturna.
Il giorno dopo, linumazione, dietro una
lunga esposizione in mezzo alla chiesa, perché tutti potessero
osservare, per l’ultima volta, quel povero corpo inanimato.
Dagli amboni intanto, dai pulpiti delle
chiese circonvicine, furono predicate le virtù di Elisabetta, fu
esaltata la sua morte santa, fu portata ad esempio la sua
inesauribile pazienza.
Per mezzo dei frati questuanti (sempre
pronti a divulgare notizie fuori dell’ordinario), che facevano capo
all’ospizio di Castell’Azzara per la cerca delle diverse derrate
nel contado, da un paese all’altro, la fama corse nelle case dei
benefattori benestanti, e di quelli che, al frate cercatore, davano
solo un piatto, e non ben colmo, di grano.
Intanto furono stampate le prime
immagini, furono distribuiti pezzetti di stoffa degli indumenti
indossati dalla defunta, come reliquie, e così subito, qualche mese
dopo la morte, possiamo notare i primi miracoli, le prime grazie, che
valsero alla nostra il titolo di serva di Dio, di beata.
Leggo infatti nel volume citato:
«Al nome SS.mo di Dio e della
Beatis.ma sempre Vergine Maria, e cosi sia.
L’anno della Salutifera Incarnazione
del n.ro Sig.r Gesù Cristo millesettecentoquarantacinque Ind.ne ,
secondo lo stile dei notari sanesi, et il dj quattro del mese di
giugno, Benedetto XIV, sommo pontefice sed., vacante il Romano Impero
pella morte di Carlo sesto d’Austria, e l’A. R.le del Serenissimo
Fran.co Terzo di Lorena Gran Duca di Toscana ottavo signore n.ro
felicem.te dominante. Costituita personalm.e avanti di me Not. e
testimoni infrs.ti Francesca di Fran.co Pacchiarini, ved.a del fu
Giuseppe Mastacchini della Terra di Castell’Azzara, ad ist.a
(istanza) e requisiz.e (requisizione) di Pia Persona, che per la pura
e mera verità ricerca, alla quale per me deferito il guiram.to di
dire la verità, conf.e (conforme, come) la med.a giurò, toccate le
scritture, etc. a delaz.ne di me not. sud. ed infras.to, monita etc.,
depose e depone quant’app.o (appresso), cioè che fin dal mese di
aprile 1744 essendogli infermata in letto Caterina, una delle sue
figlie a causa di un’ gran tumore fissatosegli nel ginocchio
sinistro, il quale gli cagionava un’eccessivo spasimo, privandola
si di giorno che la notte del necessario riposo, con l’intervento
anche di continua febre, fece curare per lo spazio di circa tre mesi,
per mezzo del Cerusico condotto di d.a terra il d.o malore, ed
essendo il d.to tumore venuto a suppuraz.e e restato attratto il
piede in d.o ginocchio e quasi addoppiato che in nessun conto lo
poteva slungare e porre in terra, essendoseli ritirati i nervi, per
il che ne riportava la paziente un’ non ordinario dolore, ne
trovando alcun’ rimedio efficace à poter liberare almeno in
qualche parte la d.a paziente dalla d.a attrazione, e dolore,
determinò di ricorrere alla buona Serva di Dio Elisabetta Loli di
d.a terra, di poco tempo passata da questa à miglior vita in
concetto ben certo di sua eterna Beatitudine, per la somma umiltà e
pazienza, e per la vita si esemplare sempre menata per tutto il corso
di sua vita. Avendo certa notizia che il m.to R.do Gio. Cristof.o
Bresciani di d.a Terra, preservava alcuna memoria di d.a buona serva
di Dio, mandò a chiamarlo, e lo pregò à volergli far la carità di
segnare la parte offesa della figlia di d.a piefaciente, come in
effetto fece, e doppo segnata con un pezzetto di tela intinta nei
sangue del Cuore stigrnatizzato della d.a Serva di Dio, e con una
Crocetta piccola, che la med.a continuam.e teneva indosso, mentre era
in vita, la pigliò per la mano, dicendogli, che avesse una vera
fiducia in d.a Serva di Dio, e che sperasse costantem.e che per mezzo
della med.a avrebbe riportato dall’Altissimo la salute, ed
alzandola in tal’atto dal suo letticciuolo, la fece camminare per
la casa, e di poi, doppo tre giorni, restò affatto libera e spedita
dalla d.a attrazdepone zione, e dolore, e mai più da indi in poi,
soffri altro detrimento.
Che è quanto disse poter asserire e
deporre, per la pura e mera verità sù tal particolare.
Fatto in Castell’Azzara nella Casa
Pievania di d.a terra e tutto alla presenza, e presenti il ni.to r.do
sig.r D. Ilario del Sig.r Dep.rio Gio, Marazzi, ed il Sig.r Chierico
Franc.o del fù Sig.r Lorenzo Attilio Massicci Bresciani, ambedue
della Terra di S. Fiora, testimoni cogniti et à tal’efamente
fetto chiamati, e pregati, etc.
Io Girol.o del q. (quondam, fu) Biagio
Pascucci cittad. Pientino, not. pub. san. e delle predette cose rog.
».
A questa che fu dichiarata la prima
grazia, altre ne seguirono in Castell’Azzara, che io riporto
integralmente, per scrupolo di raccoglitore di memorie.
«Al nome SS.mo di Dio etc.
Donna Santa di Bartol.o Ricciarelli...
depone quant’app.o, cioè che fin dal mese di maggio 1744,
trovandosi travagliato dalla rogna il di lei fìglio denorn.to
Vincenzio, et insieme assalito da un certo morbo di spavento, ò
delirio, il qie per due volte al giorno, lo privava di sensi, ed
operava nell’istesso diversi effetti, enfiandosi al paziente la
gola, con strepiti impetuosi, con fissazioni di occhi spaventati, si
dava a fuggire in quà ed in là, senza sapersi dove, e se non fosse
stato ritenuto dalla fidefaciente, si sarebbe senz’altro
precipitato, ed incorso il risico di sua vita; finalm.te doppo il
corso d’un’ mese, non potendo piii soffrire in d.o suo figlio un’
tal malore, vedendo che le umane diligenze non apportavano al
paziente alcun’ benché minimo sollievo, non che la guarigione,
ispirata da Iddio Benedetto, avendo fiducia nella serva d’Iddio
Elisabetta Loli di d.a Terra di C. Azzara, poco avanti defonta in
concetto di sua eterna Beatitudine, si per le sue rare qualità, si
per la sua vita ammirabile della pazienza, di mandare à chiamare,
come fece, il M.to R.do Sig.r Cristofano Bresciani Pievano di d.a
Terra, affinché applicasse qualche cosa della d.a Serva di Dio al
pred.o suo figlio; conforme il med.mo Sig.i’ Pievano, ricevuto
l’avviso, si portò alla casa della fidefaciente, ove trovato il
paziente vessato dal suo malore, e posto sopra la di lui testa, un’
pezzetto di tela intinto nei sangue del cuore stigmatizzato della d.a
Serva di Dio, assieme con una piccola crocetta, che continuam.e la
med.a teneva indosso mentre era in vita, immediatam.e cessò e restò
libero il pred.o suo figlio dal d.o malore, e da quel tempo in poi
non ne ha più patito. Che è quanto disse poter asserire, e deporre
per la pura e mera verità su tal particolare.
Fatto in Castell’Azzara etc. ».
a carte 179.
«Camilla figlia d’Ant.o Papalini...
depone quant’appresso, cioè: che fin dal mese di Settembre del
1744, sorpresa la fidefaciente da una fiera doglia nella coscia
destra, che la rendeva inabile à poter sostenersi in piedi,
convenendogii perciò stare à sedere continuam.e, senza trovar’
mai alcun’, benché minimo riposo, provando mattina e sera dolori
atrocissirni nel porsi e nel levarsi rispett.e dal letto, e che dopo
il corso di circa tre settimane, non potendo più resistere, e
bramando liberarsi da tali angoscie, come ispirata dall’Altissimo,
si risolvette di ricorrere alla buona Serva di Dio Elisabetta Loli di
d.a terra di C. Azzara, da poco tempo passata da questa all’altra
vita, in concetto più che certo di sua eterna beatitudine, per la
sua vita cotanto esemplare sempre menata, e dotata di una somma
pazienza, e pregarla à volersi degnare d’intercedergli da Iddio
Benedetto, la sua primiera salute, e su questa fiducia animatasi,
pensò di portarsi alla meglio alla casa del Sig.r Pievano di d.a
Terra, conf.e fece coll’assistenza d’una tal Giovanna, figlia di
Pavol’Antonio Bizzarri della stessa terra; ove finalmente con gran
fatiga e stento pervenuta, per via d’appoggio alle muraglie, ed
alla detta Giovanna, pregò il d.o Sig.r Pievano à volergli segnare
le detta parte offesa con un’ pezzetto di tela intinta nel sangue
del cuore stimatizzato di d.a Serva d’Iddio, che dal medesimo Sig.r
Pievano preservasi assieme con una piccola crocetta, che la stessa
serva di Dio portata avea indosso per tutto il corso di sua vita;
onde essendoli dal pred.o Sig.r Pievano stata segnata una sola volta,
restò istantaneamente affatto libera, essendosene ritornata alla
propria casa senza servirsi d’alcun’ appoggio ò umano sussidio,
e da indi in poi non aver più patito simil’infermità, né dolore.
Che è quanto disse poter asserire e deporre per la pura e mera
verità su tal particolare.
Fatto in C. Azzara etc. ».
a c. 180.
«Al nome etc.
...Donna Serafina d’Angelo
Ricciarelli, moglie al presente di Dionisio Testi della Terra di C.
Azzara... depone quanto siegue, cioè che circa un’ anno fà, doppo
aver data alla luce una bambina, e liberatasi dai soliti malori del
parto, li sopraggiunse un’eccessivo dolor di reni, à segno tale,
che li sembravano slogate tt.e (tutte) quante le ossa, di modo che
l’impediva ‘ poter’ oprar cos’alcuna nel servizio di sua
casa, non potendo ne pur’ muoversi ne respirare; ed essendo restata
vessata da un’ tal dolore per il corso di circa un’ mese, e
dubitando di non potersene liberare, sua vita durante, affidata alla
Serva di Dio Elisabetta Loli di d.a terra di C. Azzara, da non molto
tempo passata da q.ta à miglior vita, in concetto di sua eterna
beatitudine, si per la sua vita ammirabile della mai interrotta
pazienza, come per le sue rare qualità, pensò ricorrere, conf.e
fece, alla d.a Serva di Dio e pregatala di vero cuore à volergli
intercedere dall’Altissimo la sua guarigione; essendoli venuto alla
memoria che trovavasi in sua casa un’ nastro con cui, (la)
fidefaciente avea toccata la faccia di d.a buona Serva di Dio, mentre
il di lei cadavere stava esposto nella chiesa Pievania di d.a terra,
e cintasi con d.o nastro nella parte ove sentiva il dolore, restò
immediatam.te sanata, e ritornò nel primiero stato di sua salute, e
da indi in poi non ha più sofferto di detto malore. Che è quanto
disse poter asserire, e deporre per la pura e niera verità sù tal
particolare.
Fatto in C. Azzara etc. ».
Tutti gli atti trascritti figurano
sotto la data del 4 giugno 1745, e sotto tale data lo stesso notaro
riceveva pure il giuramento sulla relazione di autopsia, eseguita dal
dott. Vincenzo Sebastiani, oltre LIII anno prima.
a c. 1721.
« Al nome SS.mo di Dio e della
Beatis:ma sempre Vergine Maria,
e cosi sia. L’anno della Salutifera
Incarnazione del n.ro Sig.e Gesù Cristo
millesettecentoquarantacinque, Ind.ne , secondo lo stile dei notari
saiesi, ci. il di quattro del mese di giugno, Benedetto XIV sommo
pontefice sed,e, vacante il Romano imp.o pella morte di Carlo VI
d’Austria e l’A. R.le del Serenis.mo Fran.co Terzo di Lorena Gran
Duca di Toscana, ottavo Sig.r n.io felicemente dominante. Costituito
personalmente davanti à me Notaro e testimoni infras.ti, il Sig.re
Vincenzio del fù Sig.r Andrea Sebastiani della Città di Sovana,
Cerusico condotto della terra di Castell’Azzara, per causa ed
occasione di riconoscere l’attestato che sopra, asserto fatto dal
med.mo, onde deferitoli il giuram.to di dire la verità, conf.e il
med,mo giurò, toccate le scr.e (scritture sacre, il vangelo) à
delazione di Not. soprad. ed infras.to, monito etc. e lettoli per me
de verbo ad verbum (parola per parola) à chiara sua intelligenza, il
soprad.to attestato, e resoglielo altresi ostensibile e da esso ben
considerato, letto e riletto, dicendo essersi ben sodisfatto.
R. (risposta alla domanda del notaro).
« Io hò inteso benissimo l’attestato che sopra da V. S. ad esso
lettomi, ed hò ben’ veduto, letto e riletto, ed à bastanza
considerato il med.mo, e dico esser quello med.mo, che fin dell’anno
1744, io feci il df 26 maggio (riconoscendolo benissimo dal
carattere, ché lo feci formare, come migliore del mio, dal Sig.r
Francesco Bresciani, à cui fu da me dettato di parola à parola, e
dalla soscrizione che vi feci di proprio pugno) , e siccome il
medesimo contiene in tutte le sue parti la pura e mera verità, cosi
adesso, come tale, parim.te in tutte le sue parti lo ratifico e
confermo ».
Fatto ìn C. Azzara etc. ».
La dichiarazione che segue è contenuta
nell’inserto senza alcun numero progressivo di pagina; è la prima
rilasciata da persona estranea al paese, e l’unica che non sia
convalidata dal giuramento della dichiarante in presenza del notaro.
« A di 7 aprile 1747.
Fede per me Felice Garnieri ne Cenni in
Sinalunga , come circa mezzo aprile passato ero inferma di gotta a
segno che non mi potevo muovere in conto alcuno, e oltre a
raccomandarmi a Dio, conforme mi correva l’obbligo, mi venne in
pensiero di raccomandarmi ad’ una certa Elisabetta Loli di
Castell’a zara, la quale è in buonissimo concetto di santa
conforme mi fu detto da fra Ginepro zoccolante, quale mi dette il
ritratto di d.a Elisabetta, quale messo da me paziente sopra il male,
mi trovai in un subbito risanata con renderne grazie a Dio et al
ritratto della soprad.ta.
Et io Can.co Fran.co Terrosi d’ordine
e presenza di detta Sig.a Fetrialice, sentito tutto il successo, n’ho
fatta la presente fede di mano p.a ».
L’ultima voce proviene da
Roccalbegna, ed ascende a quindici anni dopo la morte di Elisabetta.
a. c. 181.
« Al nome SS.o di Dio. Amen.
m’onore del grandissimo Iddio e della
SS.ma Vergine Maria, e di tutta la Corte Celestiale, per dar gloria
al med.mo e suoi santi, attestasi per la verità da me infrascritta,
qualmente nel mese di gen.ro prossimo passato, non ricordandomi del
preciso giorno, in occasione che Antonino mio nipote di anni quattro
in circa, si trovava malato ed angustiato da un fierissimo dolore di
corpo, non ostante che si applicassero tutti quei rimedi propri ed
opportuni per farlo guarire, non fu possibile trovarne
arcun giovamento. Onde, veduto che i
rimedi temporali non le potevano giovare, auta notizia che in
Castell’Azzara anni sono sendo morta una buona persona di Dio,
chiamata Elisabetta e che li ricorsi ed’ aiuti celesti alla
medesima avevano giovato à più, particolarm.te avendo ottenuto dal
M.o Rev.do Sig.r D. Cristofano Bresciani Pievano di d.o luogo, un
pezzettino di camiscia della d.a Serva di Dio; auta vera fede, tolse
una piccola parte della d.a camigia, e fattone minut.mi (minutissimi)
pezzi e posti in una tazza di acqua pura, nel atto che detto mio
nipote gridava e piangeva per il sud.o atroce dolore di corpo, datale
la d.a acqua acciò la bevesse, gustata appena che ebbe la medesima e
tutta beuta che subito il d.o Antonino disse che era guarito, e non
fu più angustiato da d.o dolore.
Parimente attestasi da me infrascritta,
come essendo travagliato d.o mio nipote da una atrocissima tosse, che
dal medico veniva chiamata «convulsiva », che per liberarlo dalla
medesima si adoprorno più rimemedi, che nulla giovarno, soltanto
posso deporre per la verità che applicato il rimedio che sopra,
quello li giovò e lo liberò dalla detta tosse, ne più fu dalla
medesima molestato, ed in fede della verità ò deposto le cose
suddette, ed ò soscritta di mio carattere la presente.
Roccalbegna 26 luglio 1759
Io Anna Margarita Carli ne Simonelli
attesto come in questa, mano p.a (propria).
Al nome SS.o di Dio — Amen.
L’anno del Sig.e 1759 et il di 29
luglio costituita personalmente avanti di me not. pub. e test.ni
infrascritti, la sig.ra Margherita Carli Simonelli cognita etc. alla
quale deferito il giura.to di dir la verità, d. (detta) giurò,
toccate etc., a dilaz. etc., monita etc., lettali la suddetta fede
dalla med.ma fatta e soscritta, e bene intesa in tutte le sue parti,
d.a disse, asseri primieramente averla di proprio pugno soscritta,
che le cose contenute nella medesima sono vere, e contengono la
verità in tutte le sue parti, e però detta tale la ratificò, e
ratifica; confermò e conferma, non solo ma etc.
Fatto in S. Fiora alla presenza e
presenti li m.to R. R.di Don D. Fran.co Nardini di S. Fiora e D.
Dom.co Rossetti da Piano, testimoni cogniti.
Et io Pietro Fan.co Vaghaggini Not.
pub. delle sudd.e cose rogato ».
Ho presentato tutti gli scritti, da me
reperiti, senza alcun commento più che esplicativo, per non
intralciare l’esposizione, e soprattutto per non fuorviare la
libertà di critica e di giudizio, cui ognuno ha diritto.
Mi limiterò ora ad esporre solo alcune
considerazioni mie personali ed opinioni di specialisti, interpellati
a proposito, perché il criterio del lettore sia prima di tutto
obbiettivo, e non voglia respingere a priori ciò che altri hanno
asserito con giuramento sulle sacre scritture.
In merito alla autopsia, e in modo
speciale alle stigmate o ferite nel cuore di Elisabetta Loli, ecco
quanto ci ha lasciato scritto il Dott, Sergio Mugnai, specialista
nelle malattie di cuore.
« 12 marzo 1965
Dott. Sergio Mugnai
Specialista Malattie Cardiovascolari e
Reumatiche. Castell’Azzara (Grosseto)
Ad una disamina attuale è molto
difficile fare un commento scientifico sul verbale del dott.
Sebastiani, soprattutto per quanto riguarda il cuore.
La competenza del Sebastiani è per di
più minima.
Io ritengo che le ferite del cuore
siano state prodotte dal cerusico stesso con coltello o forbice nella
manovra di apertura del torace o del pericardio.
Il fatto che da esse ferite uscisse
sangue fluido, non può meravigliare, dato che, anche a diversi
giorni dalla morte, o per la temperatura fresca, o per il genere di
morte, il sangue può permanere nella cavità cardiaca ìncoagulato.
Si tratterebbe quindi di un falso
reperto dovuto solo a tecnica inadeguata e interpretato in perfetta
buona fede.
Non vedo come siano possibili altre
spiegazioni ».
Certamente la vita sarebbe stata
impossibile con le cinque ferite, che avrebbero lasciato invadere dal
sangue la cavità toracica. Né d’altra parte si può pensare che
Dio abbia voluto lasciar traccia della sua predilezione, facendo
schiantare il cuore di una morta.
Per quanto riguarda gli attestati dei
miracoli o grazie, noto, prima di ogni altra considerazione, che gli
scritti presentati, ad eccezione dei due che narrano fenomeni
estranei al paese di Castell’Azzara, anche se raccolti direttamente
dal notaro, « ad istanza e requisizione di pia persona, che per la
paura e mera verità ricerca », ad un esame approfondito,
appariscono dettati o per lo meno suggeriti, nei ritorni di frase in
elogio alle virtù della defunta, da un’unica persona, la stessa
che compose o dettò l’epitaffio latino della pietra sepolcrale.
Ora tale « pia persona », che in ogni
verbale viene messa in mostra, quasi con ostentazione, ricorrendo a
codicilli, quando non sia stata inserita nel testo, non può essere
che il rev. D. Cristoforo Bresciani, che, nominato pievano in
Castell’Azzara, all’età di ventisette anni, nel 1731, aveva al
tempo del trapasso di Elisabetta, quaranta anni.
I fenomeni riportati quindi, come
devono essere giudicati? Veri miracoli od una ben architettata
turlupinatura?
Il lettore decida.
Certo che la pratica intera, archiviata
a cosi breve distanza di tempo, appena una quarantina di anni
dall’ultimo attestato di guarigione ottenuta per il supposto merito
o intercessione di Elisabetta Loli, fa pensare ad un fuoco che arse
vivo, con improvvisi lumeggiamenti, finché le persone, i testimoni
oculari della pazienza e della rassegnazione (che non metto
assolutamente in dubbio), della ragazza, rimasero in vita, ma che a
poco a poco andò scemando, fino a lasciare solo poca cenere grigia,
a ricordanza.
Fonte: Castell'Azzara e il suo territorio di Giovanni Battista Vicarelli
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