Il beato Guido da Selvena (Giovanni Battista Vicarelli)




A guardare oggi i muri caduti e sfatti dell’antichissimo convento del Colombaio, presso il paese di Seggiano, la fantasia non spazia più, si ottunde, per l’irreparabile e desolata rovina; e a fatica potresti ricordare tutte le storie grandi e piccole, nascoste e palesi, che si svolsero per molto tempo lì dentro: storie di privazioni volontarie, di mortificazioni corporali, di penitenze dure ed ostinate, di cui gli umili frati francescani fecero testimoni le loro celle, scomparse in ammasso di macerie, imprigionate e soverchiate dai rovi, che a dicembre, quando ogni foglia è caduta, ergono in mostra i loro viluppi di semi tomentosi in attesa della neve e del vento.

Certamente questo convento fu uno dei primi che S. Francesco fondò in Toscana, quando, nello anno 1220, attraverso la Maremma, ritornava da Viterbo, dove era andato a visitare papa Onorio III.

 Erano ormai trascorsi tredici anni dalla fondazione dei frati minori, e l’istituzione dilagava fra gli uomini (anche se la regola non era stata approvata), stanchi delle sanguinose guerre, degli odi tenaci, e desiderosi di pace e tranquillità.

Il luogo solitario e boscoso, pieno di mignolature di olivi, prendeva il nome di Colombaio, da un fosso, che scorre, anche ai nostri tempi, come settecento anni fa su quella zona.

« Presso il luogo dei frati minori del fosso del Colombaio, nella diocesi di Chiusi » è detto in un documento datato dal Colombaio, il 2 agosto 1251, spedito da Pietro, vescovo di Chiusi, ai frati eremitani di S.Barbara, nel territorio di Piancastagnaio e di Santa Fiora.

 Ma non tanto le vicende del convento del Colombaio, che pure sono interessantissime, mi hanno stimolato nella ricerca, quanto il fatto che, in questo luogo, trascorse la maggior parte della sua vita il Beato Guido da Selvena.

 Tutti gli agiografi e i cronisti francescani antichi hanno scritto del nostro beato, ma colui che si è occupato maggiormente di lui (anche perché, ultimo arrivato, ha dovuto tutti consultare) è senza altro il Wadding.

 Dopo infatti aver dato inizio alla ricostruzione della sua vita,  sulla scorta delle cronache e delle tradizioni scritte, esistenti presso i diversi conventi, e dopo averci avvertito che il Beato Guido, ancora novizio, « meritò di parlare dolcissimamente con Cristo », ce ne dà un più preciso resoconto ed una più vasta notizia.

E più in là, dopo aver detto come, trascorrendo il tirocinio in Siena, fu condotto, insieme ad altri giovani, alla presenza del Beato Pettinaio, perché tutti ascoltassero la sua parola sulle cose spirituali, narra lo svolgimento dei primi colloqui con il Bambino Gesù.

 Vorrei qui riportare per intero il latino, così corretto e mistico del celebre cronista, ma, per comodità dei lettori, trascrivo il racconto come ci vien tramandato da fra Dionisio Pulinari; racconto che per la sua semplicità e chiarezza ha poco da invidiare alla freschezza dei fioretti francescani.

 « In questo luoco (al Colombaio) risplendette per santità e si riposa il santo frate fra Guido da Selvena. Costui fu uno di quei due novizi, i quali avendo sentito dire dal santo uomo Pietro Pettinaio quella sentenza : “Dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono nel mezzo di loro” ; si concertarono insieme d’andare nell’orto a ragionare di Dio e Gesù Cristo ; dissero :

— Verrà nel mezzo di noi come che dice fra’ Pietro.

Ed uno di loro disse con pura semplicità:

— Egli non sarebbe bene ch’egli sedesse come noi in terra : io piglierò uno sgabellino, che io ho visto, e lo metteremo in mezzo a noi, e lui vi sederà su e noi staremo in terra ai suoi piedi, uno dì qua e l’altro di là.

E l’altro disse:

— Ed io piglierò un guanciale da metter su quello sgabello.

 E così d’accordo, dopo prima, se n’andarono nell’orto in un luoco solitario che loro avevano appostato, e posto lo sgabello col guancialino, s’assettarono uno di qua e l’altro di là, incominciarono a parlar d’Iddio, e subito la Verità che non può mentire fu nel mezzo di loro, e di maniera s’infuocarono nel parlare, che suonò terza , cantossi la messa, e i frati desinarono, e loro non sentirono cosa alcuna. Il beato Pietro Pettinaio, che era nell’orto a contemplar da principio, quando che vedde quei novizi far quell’apparecchio di quello sgabello con quel guancialino, stava a vedere dove voleva riuscire quella cosa, e vedendoli porre a sedere in terra, e che quei cominciarono a parlare, vedde subito con occhi corporali apparire quivi Gesù Cristo e porsi a sedere su quel guancialino, e era in forma di bellissimo puttino, e s’inchinava quando all’uno quando all’altro. Della qual vista è facile cosa pensare quanto il beato Pietro ne gioisse. Poiché i frati ebbero desinato, il maestro dei novizi vedendo mancarsene due, si messe a cercar per essi, e vedendo il beato Pietro, se gli fece incontro e gli narrò il caso e gli disse:

— Menateli a vostra posta a cibare il corpo, poiché l’anima benissimo è refezionata.

Questo fra Guido fu uno dei due ».

L’altro dei due novizi, semplici come frate Egidio ed umili come frate Ginepro, era Mino d’Altimanno Ugurgeri, che fu poi rettore della provincia Toscana. Altri fatti narrano gli storiografi della vita del beato Guido, atti a lumeggiare la sua anima piena di fervore, eppure così innocente e mite da esser paragonata ad una colomba.

Quando il santo uomo era già carico di anni ed infermo, Dio stesso provvide a mandargli un gatto di un’affezione ed un’attaccatezza singolari : Ogni giorno strappava al bosco un uccello, perché frate Francesco da Montalcino lo cucinasse e lo presentasse così preparato al suo compagno.

Era in quel tempo l’unico suo cibo.

Ora il giorno stesso in cui il beato morì, anche il gatto spirò ai suoi piedi.

 
Ancora si sa « del beato Guido che egli ebbe lo spirito di profezia, e predisse la setta de Fraticelli, di prava oppinione, i cui errori, si come furono esecrandi così tra poco tempo furono sradicati da errori umani. La predisse a fra Jacorno di Mont’Alcino, suo compagno, avvertendolo che s’allontanasse da loro come da nemici di Cristo ».

 
Ecco come la rivelazione ci viene riportata.

« Un giorno entrato nella sua cella fra’ Francesco da Montalcino,che era solito servirlo nelle necessità ed infermità, di cui egli per il peso degli anni era aggravato, trovò che il buon vecchio piangeva dirottamente.

Interrogato per quale ragione, rispose:

— Fatti dappresso che te lo dirò. L’altro avvicinatosegli, cominciò tosto a percuoterlo con il suo bastone ; di che meravigliandosi fra’ Francesco, e richiesta la ragione di siffatta stravaganza, rispose fra’ Guido:

— Faccio ciò perché tu possa meglio ricordarti di quanto sono per dirti.

E così comincio a narrargli delle novità che sarebbero nate nell’ordine, parlandogli della setta dei fraticelli che sarebbe sorta, per alcuni frati sotto pretesto di una più rigorosa osservanza».

Questi i fatti che registrano le cronache più antiche.

 Ma per quante ricerche abbia fatte non mi è stato possibile accertare l’anno di nascita del beato Guido; credo, dopo i dovuti confronti di poterla collocare, senza grave errore intorno al 1220.

La data di morte invece può essere fornita con una certa tranquillità per la sicurezza.

Il Wadding infatti assicura che il Beato Guido da Selvena morì al Colombaio poco prima del beato Pietro senese.

Gli storici, tanto avari di notizie per il nostro, ci danno invece per certa la morte del beato Pietro, come avvenuta il 4 o il 5 dicembre dell’anno 1289.

Il Gigli infine, sotto la data del 21 aprile, riporta :

 «XXI aprile – S.Anselmo e B. Guido da Selvena , sanese francescano, il quale fiorì con grande odore di santità nel 1310, e il suo corpo si conserva con molta venerazione nella chiesa di S. Bernardino del Colombaio sul M. Amiata».

Conciliando quindi le date, e tenuto conto che il Gigli nella compilazione del suo diario, badò più alla quantità che alla qualità ed esattezza delle notizie, del resto già elaborate dalla memoria dei frati, prima di essere fissate, bene o male, sulla carta, possiamo, quasi con certezza, stabilire da data della morte del Beato Guido, come avvenuta il 21 aprile del 1287 oppure del 1288.

La questione poi della patria di origine appare ormai superata dagli studi compiuti recentemente da parte di eminenti storici dell’ordine francescano.

Il Wadding, in margine di pagina, ad inizio del paragrafo, porta la seguente nota:  «Anno 1289, n.35 et sequentib. Fr. Guido de Bolsena»; durante poi l’esposizione della vita dello stesso, scrive: «Guido de Solvena, aliis de Bolsena (quod est Communitatis Sanctae Florae, Marianus Dicit, praesidium  ».

 

Ora possiamo accertare con sicurezza che Bolsena non ha mai appartenuto alla Comunità o Contea di Santa Fiora, ne come terra, ne come castello o presidio, quindi vien da se che la grafia Bolsena o Solvena, appare errata o male interpretata dalla scrittura, non sempre facilmente decifrabile, di qualche amanuense frettoloso.

 Anche l’autografo della Cronaca di fra Dionisio Pulinari, che si conserva nel convento d’Ognissanti in Firenze, reca che il nostro beato sarebbe nato in Solvena ; ma la dicitura errata, derivante dal manoscritto di fra Mariano Ughi pure di Firenze, è stata corretta nella edizione integrale curata dal padre Saturnino Mencherini, uomo di erudizione profonda nelle cose francescane ; infatti nella nota n. 1, pag. 402 dell’opera più volte citata, dice chiaramente : « Il b. Guido, qui ricordato, è da Selvena, non Bolsena, Solvena, Salvena, Solvengo, ecc. come erroneamente scrissero alcuni storici come il Wadding ».

L’Ugurgeri infine, nel suo manoscritto, ribadisce: «il beato Guido da Selvena, villa nello stato di Siena, il quale, o per equivoco, o per errore, dal Posignano, è scritto da Bolsena, e da Selvena poi altrove».

Del resto anche nella sua terra, e più precisamente nella antichissima chiesa di Selvena che sorgeva a ridosso della rocca aldobrandesca di Belvedere, e che fu poi demolita nel 1788, non mancò la mano intelligente, che volle affrescare l’atto del trapasso, il momento più bello e solenne per ogni santo, a ricordo dell’umile frate di s. Francesco.

 Eccone la descrizione, che ci ha lasciato l’attuario, don Salvatore Lucci, cancelliere vescovìle di rnons. Francesco Pio Santi.

« Terminato questo (la visita, in ogni sua parte, alla chiesa da demolirsi), il Vescovo si portò ad osservare una pittura sotto il pulpito, a fresco, dì lunghezza di due braccia, d’altezza poco più dì un braccio, rappresentante certe figure, che, fu asserito, esser un certo B. Guido da Selvena, laico professo riformato, in atto di moribondo o morto; con quattro figure vestite a frate, due de quali in atto di piangere sopra il morto, gl’a1tri due in piedi in atto di compassione e di osservazione ; a piedi del morto un prelato in rocchetto e mozzetta di colore rosso con la sottana, significante un cardinale, e presso il medesimo un Chierico in abito da corte, cioè nero, con il mantello; ambedue in piedi, e questo come servente del primo, in atto di osservare il morto e di domandare qualche cosa; e sotto la pittura vi erano le seguenti parole « B. Guidus Silvenae » di mano recente, mentre la figura fu creduta circa due secoli indietro »

 Evidentemente chi scriveva la relazione non era molto addentro alle faccende storiche dell’ordine minoritico, in quanto il beato Guido non poté mai certamente essere un francescano riformato, dal momento che la riforma si manifestò molto più tardi della sua morte ; almeno due secoli dopo, nel 1538, nella provincia Toscana.

La presenza di un cardinale, nella pittura, può essere solo giustificata dal fatto che, già ai tempi di san Francesco, i frati minori avevano un loro patrocinatore nel collegio cardinalizio, e forse il pittore volle rendere omaggio alle rare virtù del suo rappresentato, come se fosse meritevole del rimpianto, non solo dei compagni di convento, ma anche del patrono dell’ordine.

Non azzardo, neppure a concedere che un cardinale sia stato veramente presente al trapasso del nostro, in quanto, se non fosse stato il rappresentante dei frati, molto difficilmente se ne sarebbe trovato un altro, disposto a lasciare i paludamenti le belle sale della curia romana per assistere alla morte di un povero pezzente e straccione come dovevano tutti indistintamente apparire gli umili frati del Colombaio.

 Il fatto poi non sarebbe stato né troppo facilmente dimenticato dalla tradizione orale dei miseri frati, né certamente trascurato nelle susseguenti annotazioni dei cronisti.

Non regge la congettura che il cardinale possa essere stato dipinto lì, vicino al morente, come a sancire l’ipotetica appartenenza del beato Guido all’allora potente casata degli Aldobrandeschi.

La supposizione, avanzata dal Romei, per un’errata interpretazione, e fatta propria dal P. Alessandro da Seggiano, « che lo stesso Guido fosse già stato signore del Castello di Selvena, come appartenente alla stessa famiglia Aldobrandesca» , è priva di qualsiasi fondamento e non trova nessun appoggio storico.

Il periodo di tempo infatti, che corre dal primo 1200 al 1300 inoltrato, è il più florido, il più prestigioso (e non solo nelle apparenze) della famiglia aldobrandesca, anche se, in effetti, il più tormentato e il più bellicoso. La genealogia dei conti, in tale epoca, non subisce distacchi: i figli si succedono ai padri, senza alcuna interpolazione estranea, senza nessuna discontinuità di linea, e ciò specialmente nel ramo dei conti di Santa Fiora.

Ai primi del 1200 troviamo nella genealogia della stirpe aldobrandesca le seguenti persone, fratelli e sorelle, tutti figli di Ildebrandino VIII (secondo il Repetti, op.cit., Appendice, pag.55 e seg., Ildebrandino VIII):

Ildebrandino Maggiore, morto circa il 1223,

Bonifazio, che fu il primo conte di Santa Fiora,

morto circa il 1226,

Gemma e Margherita ,

Guglielmo, conte di Sovana, «il gran Tosco» (Dante, Purg. c. XI, 58) morto verso il 1254,

Tommaso, morto prima del padre, 1208-1212

Aldobrandino, figlio postumo, nato dopo il 1208

e morto il 23 aprile 1235.

 E’ vero che il Wadding, sulle orme del padre Mariano Ughi da Firenze, nei suoi annali, sotto lo anno 1296, riporta che « un Bandino dei conti di Santa Fiora, visse a lungo nella religione dei frati minori e si addormentò piamente nel Signore », ma la notizia non trovò riscontro da nessun’altra parte; appartiene ad un elenco di nobili, che, probabilmente iscritti al terzo ordine francescano, appoggiarono, i frati nei loro territori, con la concessione di terre e vecchie abitazioni ad uso di conventi o di eremi.

 Una riprova maggiore possiamo desumerla dal testamento di Ildebrandino « il Rosso», rogato dal notaio Pelistro « nella camera del signor Conte del Cassero di Sovana », il 6 maggio 1284.

Il testamento non fa alcuna differenza di trattamento fra il convento del Colombaio e gli altri conventi dislocati nei dintorni della Contea, Bolsena, Acquapendente, Proceno, Radifocani.

A tutti lascia in eredità la somma di dieci libre (lire) di moneta corrente.

« Così aggiudicò e lasciò al luogo dei frati minori del Rivo Colombaio dieci libre di moneta usuale per il vitto ed il vestito dei frati del luogo medesimo».

Il lascito, non differenziato, sta a convalidare maggiormente la supposizione che nessuno degli Aldobrandeschi, in tale epoca, né precedentemente, sia entrato nel convento del Colombaio. Evidentemente se là fosse vissuto un suo congiunto, più munifico sarebbe stato il Conte Rosso.

Il fatto che poi il Bandino, ipoteticamente da ritenersi per un accorciamento di Ildebrandino o Aldobrandino, abbia cambiato il nome in Guido, non viene avvalorato neppure da alcuna prova sulla obbligatorietà della sostituzione del nome nell’uso francescano, di quei tempi.

Comunque, a titolo di curiosità, il nome di Guido o di Guidone si presenta, per la prima volta, dopo la morte del nostro, nell’albero genealogico degli Orsini con Anastasia, figlia di Guido di Monfort e Margherita Aldobrandeschi, intorno al 1350. Successivamente apparisce nell’albero degli Aldobrandeschi (ramo di Aldobrandino Novello), circa dieci anni dopo, con quel Guido, che per non aver avuto figli maschi, si unì in parentado, per via femmina, con gli Sforza di Muzio Attendolo.

Veramente misere dunque le notizie sicure, almeno fin qui ritrovate, per poter asserire che il Beato Guido da Selvena sia la stessa persona di Bandino dei conti di Santa Fiora.

Per me fra Guido fu uno dei tanti, che sulle orme del poverello di Assisi si votarono ad una vita di mortificazione, di rinuncia, di abnegazione, di fame, per l’amore di tutte le creature, del prossimo e soprattutto dell’«Altissimo onnipotente bon Signore », e che la voce del popolo dichiarò beati e santi.

Fonte: Il Beato Guido da Selvena di Giovanni Battista Vicarelli

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